È stata inaugurata a Vittoria la nuova area di Osservazione Breve Intensiva (OBI) presso il Pronto Soccorso dell’ospedale “Guzzardi”. L’area è stata intitolata alla memoria di Giuseppe Morana, storico dirigente amministrativo dell’ospedale, alla presenza dei familiari e delle autorità locali. La cerimonia ha visto la partecipazione del Direttore Generale dell’ASP di Ragusa, Giuseppe Drago, della […]
LUI ERA SEMPRE LÌ, OSSESSIONATO DAL MIO SILENZIO A NUTRIRSI DELLA MIA ANGOSCIA, DELLA MIA DISPERAZIONE..
25 Nov 2012 16:58
Maria l’ho conosciuta per caso nella sede del Filo di seta a Vittoria, poi qualche parola, che lentamente si fece racconto.
Le chiesi di potere scrivere la sua storia; esitò , ma poi decise di accettare; potrebbe servire a qualcuno, disse, e quando poi ha letto quello che avevo scritto, si è riconosciuta ed ha pianto, forse un po’ più libera.
Non riesco più a ricordare come erano le mie giornate una vita fa.
Su quella che ero ieri è calata una coltre di nebbia che ha avvolto le fantasticherie e la spensieratezza dei giochi, le risate con le amiche, le emozioni dei primi corteggiamenti, la festa delle mie nozze.
L’altra me stessa si è accartocciata, piegata da un qualcosa che non riesco a definire, un misto di paura e di vergogna.
Un qualcosa che è entrato nella mia vita a poco a poco, senza che io me ne accorgessi ed è entrato con il volto di un parente, gentile, affettuoso, presente….troppo presente, dico ora.
Dalle nostre parti la famiglia è un valore, è una certezza. Non si può stare in guardia da un parente: il nemico è l’estraneo, il vicino.
Si usciva qualche volta insieme: io, mio marito, lui, sua moglie..ecco, sua moglie.. Era tutto a posto, tutto giusto.
Poi affettuosità strane, improvvise, nascoste, sguardi imbarazzati e carezzevoli che si facevano sempre più sfrontati.
Un giorno le proposte. Ero incredula, offesa, umiliata; mi ripetevo “non ho capito bene”;”non ho capito bene.”
Gli dissi di lasciare perdere, lo rassicurai che non avrei detto niente a nessuno e lì mi persi.
Non mi diede più pace… Era sicuro del mio silenzio. Diventai colpevole.
A noi ragazze del sud hanno insegnato che il gioco lo porta avanti sempre la donna, che l’uomo è per natura cacciatore; la porta si apre sempre da dentro, ripeteva mio padre.
Le mie giornate si trasformarono in un incubo: lui si materializzava ovunque andassi, come se la sua ossessione gli suggerisse e gli indicasse dove trovarmi; mi spiava, mi aspettava all’uscita dal lavoro, mi seguiva in macchina, così, senza dire niente, angosciante.
Cominciai ad evitare di uscire, e quando ero costretta a farlo, sceglievo le indicazioni stradali di controsenso o di divieto di accesso per potere controllare meglio la strada.
E poi, il telefono, quello squillo continuo, ossessivo,assordante che si propagava per tutta la casa a ricordarmi che lui era lì, fuori; era lì ad aspettare il mio crollo; era lì a vivere e nutrirsi della mia angoscia, della mia disperazione; era lì, sempre lì,ossessionato dal mio silenzio, dal mio rifiuto.
Lasciai il lavoro, e fu un dramma perché non ce lo potevamo permettere. Mi finsi stanca, malata. Però che strano: per la mia famiglia andava bene così; in fondo ero a casa, assicuravo la pulizia, i vestiti ben stirati, il pranzo, la cena, insomma tutto ciò che una donna deve fare, per legge di natura e per destino; non si sono preoccupati e Dio sa quanto l’ho sperato per aprirmi forse ad una confidenza liberatoria.
La mia vita fu un susseguirsi di bugie, di nascondimenti perché dall’offesa e dall’umiliazione ero passata alla vergogna. Si, proprio vergogna: chi mi avrebbe mai creduta, come mi avrebbe giudicato la gente se avesse saputo.
Poi di colpo, sparì. Durò un anno, ma poi, tutto ricominciò. Più pressante, più cattivo.
Andai per denunciarlo, ma poi esitai, per paura, ma soprattutto per vergogna, vergogna per mio marito, per i miei figli. Avevo pensato spesso alla morte, ma mi tratteneva il pensiero che non li avrei protetti dall’offesa e dall’insulto delle chiacchiere e delle insinuazioni della gente.
Il funzionario di polizia, davanti alla mia disperata rinuncia a chiedere tutela, mi suggerì di mettermi in contatto con l’associazione il Filo di seta: lentamente mi si aprì la speranza, scomparve a poco a poco il gelo della solitudine, il mondo tornò a colorarsi, ad esistere.
Ora voglio riappropriarmi della mia vita, la vita che mi è stata rubata.
Una testimonianza che è un gesto di solidarietà per tutte le donne in difficoltà che non riescono a trovare il coraggio di denunciare. Pubblichiamo il numero dell’associazione “Il filo di seta” che dà assistenza gratuita e in assoluto anonimato a quante le si rivolgono. 333 8305330, attivo 24h su 24h.
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