L’omelia della notte di Natale di don Corrado Lorefice: “L’unica strada da percorrere è la compassione che condivide. La condivisione è sempre riscatto, liberazione”

Pubblichiamo l’omelia di Natale dell’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice

È un tempo di particolare travaglio quello che stiamo vivendo. La Terra è sempre più arida, raggiunta da notizie che vengono dal passato, che ci catapultano indietro. Sentiamo il silenzio (l’assenza?) di Dio nel trambusto crescente della Casa comune del mondo e delle nostre città. Eppure oggi noi cristiani accogliamo un Bambino che è per tutti: “Promesso alla figlia di Sion, è nato il Messia a Betlemme, è apparsa la grazia in un uomo, speranza per tutte le genti” (Bose, Inno di Natale). Annunzio di futuro. Di vita. Di gioia. Di pace. Dio nessuno mai lo ha visto. Gesù, il figlio nato dalla giovane donna di Nazareth che non era ancora andata a vivere con il suo promesso sposo Giuseppe, discendente della casa di Davide, è l’incarnazione e il racconto del Dio in cui crediamo e speriamo.

Il Bambino che nasce nel precario rifugio di Betlemme è quel Gesù di Nazareth che, divenuto adulto, lavorerà nella bottega dello sperduto villaggio della Galilea, percorrerà le strade della Palestina sanando quanti erano sotto il potere del male; il giusto che verrà accusato pretestuosamente, appeso sull’infame legno della croce e deposto nella tomba trovata vuota da Maddalena, da Pietro e dal discepolo amato in quel primo giorno dopo il sabato. Gesù è la risposta di Dio alla domanda di noi uomini: “Chi sei? Dove sei?”. In Gesù, nel Figlio di Maria di Nazareth, incontriamo Dio stesso, la sua logica, i suoi desideri e la ‘com-passione’ che alberga nelle sue viscere paterne e materne. Questo i cristiani abbiamo scoperto e sperimentato. Questo condividiamo con tutti. “Vi annuncio una grande gioia” (Lc 2,10). Una ‘bella notizia’, l’E-vangelo irrompe. Gesù è il volto di Dio-Amore. Di Dio-con-noi. È questa la notizia che accolgono le nostre comunità disseminate nelle città sempre più insicure, disgregate e violente (Palermo oggi ne è la riprova! Basti solo pensare ai “bambini” armati della movida). Notizia che è per tutti, che tutti possono conoscere. Non è un annunzio che parla di futuro, bensì “parola che viene dal futuro, piccolo frammento del domani”. “Oggi” (Lc 2,11).

Gesù continua a narrarci, in questa marea di notizie di cronaca nera che travolge quotidianamente la Casa comune che abitiamo, il progetto originario di Dio-Amore in progress per l’intera famiglia umana di ogni tempo. Per le città degli uomini. Lo incarna, lo attiva in mezzo a noi. In questo Bambino fragile, poi diventato adulto capace di dono totale di sé, di un amore più grande, Dio continua a dirci: “Anche voi ormai conoscete una notizia che viene dal futuro. Siete già ora un piccolo frammento del domani. Custodite i vostri corpi, ogni corpo e, soprattutto quelli più fragili, perché io sono presente in ogni corpo specialmente in quelli che gli indifferenti e i supponenti di questo mondo predano, scartano e sopprimono.

L’unica strada da percorrere è la compassione che condivide. La condivisione è sempre riscatto, liberazione. Questo è il mio desiderio, che già prende corpo in ogni atto di compassione e di dono”. Noi siamo “avventura divina”, generata da questo annunzio che ora vuole camminare sulle gambe di altri uomini e di altre donne. Sulle nostre gambe. Ma nei luoghi detti “Santi”, in “Terra Santa”, da dove questo annunzio si è fatto carne ed è corso per tutto il mondo, è in atto una catastrofe umanitaria. In un quotidiano oggi si legge: “Natale a Betlemme, nell’anno 2023 dell’era cristiana, è una desolata ammissione di impotenza e di paura. Un povero moncone di fede, una notte senza luci. Chiamarli Luoghi Santi, in questo momento, sembra una beffa, o peggio una maledizione che condanna all’eterna discordia. Sono luoghi piagati dall’odio religioso ed etnico, contesi da secoli prima a fil di spada, infine con le bombe.

E le stragi, le rappresaglie, i ricatti, la scia interminabile di rancore che accompagna le generazioni. Luoghi di sacrifici umani a catena. Viene da dire – e non per cinismo – che se fosse stato, quel fazzoletto di terra, un luogo profano come tanti, meno sangue sarebbe stato versato” (M. Serra, Repubblica, 24 dicembre 2023, 28). È una costatazione che fa male, ma certamente capace di rappresentare la nuda e cruda realtà dei fatti. In questo momento a Gaza si muore non solo per i bombardamenti e le operazioni di terra ma anche per fame, per carestia, per mancanza dei beni necessari per la sopravvivenza. Cifre umane – di corpi, di vite – impressionanti. Come raccapriccianti sono quelle delle vittime del Mediterraneo.

Desidero riportare le parole del Papa – durante l’Angelus del 17 dicembre scorso – che ha esortato a non dimenticare quanti stanno soffrendo per la guerra, in Ucraina, in Palestina e Israele e nelle altre zone di conflitto, e a rafforzare l’impegno per aprire strade di pace: “Continuo a ricevere da Gaza notizie molto gravi e dolorose. Civili inermi sono oggetto di bombardamenti e spari. E questo è avvenuto persino all’interno del complesso parrocchiale della Santa Famiglia, dove non ci sono terroristi, ma famiglie, bambini, persone malate e con disabilità, suore. Una mamma e sua figlia […] sono state uccise e altre persone ferite dai tiratori scelti, mentre andavano in bagno. È stata danneggiata la casa delle Suore di Madre Teresa, colpito il loro generatore. Qualcuno dice: “È il terrorismo, è la guerra”. Sì, è la guerra, è il terrorismo. Per questo la Scrittura afferma che “Dio fa cessare le guerre … rompe gli archi e spezza le lance” (cfr Sal 46,9). Preghiamo il Signore per la pace».

Se non si ferma subito tutta questa violenza distruttiva dovremo vergognarci a chiamare quei luoghi ‘santi’ e nessuna delle parti contrapposte ne potrà rivendicare la proprietà in nome di una religione, meno ancora con atti di terrorismo, come quello terribile perpetrato da Hamas il 7 ottobre scorso, o con armi di distruzione di massa, come quelli che autorevoli fonti internazionali attestato essere usate da Israele. E come potremo continuare a celebrare il Natale del Bambino che solo Dio ci poteva dare se in quella terra a migliaia i bambini (che Dio continua a darci) stanno morendo a causa della violenza e ora anche a causa della fame e della carestia? Quella è una terra in cui deve tacere il fragore delle armi impugnate dagli uomini affinché vi risuoni ancora soave il canto degli angeli: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2,14). Non può essere luogo per cui e in cui il nome di Dio e la sua dimora vengono bestemmiati e profanati. Da lì deve continuare la corsa dell’E-vangelo, della bella notizia, perché arrivi ovunque. Raggiunga tutti. Lo Spirito di Dio tenga desta in noi questa “notizia che viene dal futuro” e che vuole vivere nel presente. La trasformi in azione e in fervida costante preghiera, perché “Pregare è parlare con desiderio e amore”.

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