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L’OLTRETAGO
05 Ago 2014 06:29
L’Alentejo è una estesa regione a sud del Portogallo, che solo recentemente sta diventando una meta turistica.
Questa regione ha da sempre vissuto una situazione di isolamento, che tutt’oggi è percepibile. Malgrado sia molto estesa territorialmente, quasi un terzo del Portogallo, essa è scarsamente popolata, contando circa un sesto della popolazione totale.
A differenza delle regioni del Portogallo del nord, dove la campagna si contraddistingue per il grande numero di piccoli proprietari terrieri, qui, al sud, la campagna è formata da grandi distese di campi di grano appartenenti a pochi proprietari, tanto da poter parlare ancora di latifondi.
La coltivazione della vite in questa regione non è mai stata preminente e le sue prime attestazioni riportano alla conquista romana. Tollerata durante il regno arabo, ebbe un’epoca di rinascita dopo la riconquista, ma senza diventare fondamentale per l’economia agricola del luogo. La produzione di vino continuò a essere molto limitata rispetto al potenziale reale, ma continuò ad esistere. Fu durante la dittatura di Salazar che ricevette il colpo di grazia. In base alla politica di autosufficienza economica, il limitato vigneto alentejano, che contava 20.000 ettari, quantitativo questo che è di gran lunga minore a quello presente nella sola regione della Basilicata, regione che oltretutto è tre volte più piccola dell’Alentejo, venne ancora di più ridotto giungendo molto al di sotto dei 10.000 ettari. La decisione di Salazar e la teoria del “Estado Novo”, da lui ipotizzato, prevedeva che l’Alentejo diventasse il granaio del Portogallo; non vi era quindi spazio per la viticoltura. E praticamente fino al 1970, data della morte di Salazar, in Alentejo, il poco vino prodotto era destinato al solo consumo privato. Le due cooperative presenti in tutta la regione non erano in grado di produrre vini qualitativamente decenti, sia per i sistemi molto primitivi di vinificazione, sia perché, non essendoci vigneti sufficientemente estesi, l’uva era poca e veniva quindi assemblata assieme nonostante provenisse da zone totalmente diverse, molto distanti tra loro e non idonee alla loro miscelazione. La politica agronoma di Salazar ha avuto come conseguenza che il vino dell’Alentejo non solo fosse sconosciuto all’estero, ma anche in Portogallo e nello stesso Alentejo.
Successivamente alla scomparsa di Salazar, nell’ Alentejo si è verificata una sommossa agraria. I braccianti espropriarono le terre ai latifondisti e fondarono delle cooperative, che però, a causa della mancanza di fondi, gestirono malamente, sia le sugheriere, sia i vigneti. Il risultato fu un maggiore calo qualitativo del vino alentejano e della stessa industria del sughero. Agli inizi degli anni Ottanta, le terre tornavano in mano ai vecchi proprietari, che però per lo più non si preoccuparono di sfruttare al meglio i propri terreni. Un cambiamento si ebbe soltanto con l’arrivo dei fondi europei, a cui attinsero in pochi, per lo meno per quanto riguarda la viticoltura. Gli ettari vitati oggigiorno sono soltanto 14.000, ben al di sotto dell’epoca pre-Salazar. Con i fondi europei, però, si impiantarono nuovi vitigni e finalmente le cantine conobbero un vero processo di ammodernamento con l’introduzione dell’acciaio e di macchinari e tecniche per migliorare le condizioni igieniche delle cantine.
Il ritardo con cui l’Alentejo si è affacciato al vino è abbastanza evidente e ancora oggi non è semplicissimo definire le potenzialità di questa regione. Ciò che è evidente è che l’Alentejo è regione da vini rossi, ma questi vini, per quanto gradevoli, presentano dei limiti dettati dall’eccessivo caldo, che lascia nel vino note di cotto e alcol forse un po’ troppo elevato. C’è però una zona dell’Alentjo che sembrerebbe essere una futura promessa del vino. Si tratta di Portalegre a nord della regione, che sembrerebbe essere l’unica zona, almeno al momento, in grado di dare vini di gran classe.
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