L’OGGETTIVO E IL SOGGETTIVO

La crisi finanziaria è anche crisi culturale: un nuovo soggetto si affaccia alla ribalta, non più solo l’uomo alienato, non più solo l’uomo a una dimensione, ora anche l’uomo indebitato, essendo quello del credito il più formidabile strumento di egemonia del capitalismo finanziario su scala planetaria.

Si assiste a dei curiosi apparenti paradossi.

Nel corso del secolo XIX e del secolo da poco passato l’egemonia culturale e politica del capitalismo ha avuto un limite invalicabile nella capacità – da parte delle classi popolari – di conservare tradizioni, valori, riti e miti intorno ai quali si condensava una specifica identità sociale, culturale, esistenziale.

Dagli anni ’80 ad oggi, segnati dalla tumultuosa crescita del potere dei mercati, si è strutturato un processo a doppia via a dir poco inquietante: da una parte, lo sviluppo tecnologico ha consentito una rapidità e una incisività di comunicazione prima impensabili (la primavera araba è lì a testimoniarlo….); dall’altra, la crescente vocazione al consumo da parte delle masse si è logicamente incastrata  nel giogo ideologico preparato. Per l’esattezza bisognerebbe dire che il consumo è perseguito dall’ideologia sommersa, pervasiva del capitale. Con la perdita progressiva delle specificità e la crescita assoluta di un’area di omologazione dentro la quale si sono persi i confini tradizionali.

Il risultato è stato che mentre fino agli ultimi decenni del ‘900 era ancora possibile che si costituissero focolai importanti di culture e di ideologie avverse, oggi ciò sembra alquanto improbabile, la ragione essendo che perché nasca un soggetto sociale, politico e ideologico forte occorrerebbe che una larga parte della soggettività non fosse contaminata dall’ideologia dominante, e cioè dalla parte sociale dominante.

Una volta per dare un nome a tale parte si usava, solitamente, la parola “borghesia”. Oggi questo sembrerebbe piuttosto limitativo, essendosi la “borghesia” diluita, vaporizzata in un flusso sottile, sotterraneo di pensieri, convinzioni, comportamenti che impregna tutti gli strati della società.

Cosa vogliamo dire, in definitiva?

Che la novità di questi ultimi trent’anni, e delle crisi che si srotolano una dopo l’altra in successione esponenziale (sono sempre più vicine e più gravi!), è la trasformazione del mondo in un grandioso magazzino di disponibilità per le strategie della finanza: nei paesi ricchi – attraverso politiche salariali e fiscali adeguate – i lavoratori sono diventati disoccupati o sottoccupati o irrimediabilmente più poveri sia pure consumatori; nei paesi poveri – attraverso strategie globali di delocalizzazione produttiva – i poveri sono diventati lavoratori a un dollaro l’ora, costituendo una risorsa concorrenziale ai lavoratori dei paesi ricchi.

La tristezza ci assale quando pensiamo al teatrino della politica, che da tempo ha perso l’interesse e la tensione per le cose grandi mentre si arrabatta come può sulle cose misere (Renzino Bossi, Lusi, il finanziamento ai partiti, ecc.) per convincerci che siamo ancora in democrazia.

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