LO STUPORE PER L’OVVIO

Ha suscitato molto clamore sulla stampa, anche nazionale, l’intervista rilasciata dal vescovo di Ragusa mons. Paolo Urso al Quotidiano nazionale.
L’intervista affronta molte questioni della Chiesa ragusana, dalla fede ai rapporti di coppia e al ruolo della donna anche all’interno della Chiesa, dal lavoro alla povertà e ai problemi degli immigrati, del rapporto del cristiano con lo stato e, in ultimo, anche delle unioni gay. Il Vescovo affronta tutti i problemi con grande linearità e chiarezza senza offrire alibi agli equivoci. Da operatore del diritto, abituato a studiare le leggi prima di consultare i commenti e la giurisprudenza, consiglio, a chi è interessato alla notizia, di leggere l’intervista nel testo originale che è rinvenibile a questo link http://www.insiemeragusa.it/node/1541
La stampa, purtroppo, forse abituata a cercare la visibilità piuttosto che la verità, ha centrato la notizia solo sulle unioni gay, esagerando a volte anche fuori misura; qualcuno ha titolato “Il vescovo benedice le unioni gay: Lo Stato deve riconoscerle” (La Repubblica – ‎12/gen/2012, http://video.repubblica.it/edizione/palermo/ragusa-il-vescovo-dice-si-alle-unioni-gay/85723/84112
‎).
In verità, ciò che di sorprendente c’è nell’intervista, e non per chi conosce il vescovo Urso ma per il comune sentire di questi tempi, soprattutto nella politica cattolica, è la chiara e onesta coscienza dei rapporti che un cristiano deve avere con lo Stato e con la propria fede. Argomento vecchio, considerato che già nei Vangeli è attribuito a Gesù il celebre detto «Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Vangelo secondo Matteo 22,21; Vangelo secondo Marco 12,17; Vangelo secondo Luca 20,25).
Riporta l’intervista che nel 2005, in occasione del referendum sulla fecondazione assistita, il vescovo Urso dichiarò al Corriere della Sera che sarebbe andato a votare, lasciando libertà di coscienza ai fedeli. Ma allora il presidente della Cei, cardinale Camillo Ruini, era stato molto chiaro nel richiamare la Chiesa all’astensione. Mons. Urso dichiara che rifarebbe quella scelta perché “Sono stato educato alla laicità dello Stato e al rispetto delle leggi civili. Quando il cittadino è chiamato a compiere delle scelte concrete, il compito della Chiesa è quello di offrire ai fedeli degli strumenti per decidere in autonomia e consapevolezza. Per questo ho detto alla mia gente: ‘Informatevi, documentatevi, vedete se questo tipo di soluzioni sono giuste e giudicate voi'”. . . . Quella “è stata un’azione di strategia politica. Ma io credo che i vescovi con la politica e le sue logiche non debbano avere nulla a che fare”.
Per quanto poi riguarda le unioni gay, mons. Urso si guarda bene dal benedirle ma riconosce allo Stato, che è Stato di tutti, cattolici, ebrei, musulmani, atei, di riconoscere quei vincoli di solidarietà che esistono nella realtà, al di là se sono vincoli tra persone dello stesso sesso o di sesso diverso. Lasciando a chi di competenza, e cioè alla Chiesa, il giudizio morale sul problema, fermo restando il dovere, anche per la Chiesa, dell’accoglienza di tutte le persone. E aggiunge dopo: “…Che va chiamato con un nome diverso dal matrimonio, altrimenti non ci intendiamo”.
E qui non si può non dare ragione ancora una volta al Vescovo di Ragusa. Perché quando tra le persone si vuole dialogare in modo costruttivo, le regole del gioco devono essere chiare; e tra le regole del dialogo c’è necessariamente l’univocità del significato delle parole. La parola “matrimonio” viene dai termini latini mater e munus che hanno il significato rispettivo di madre o generatrice e compito. Così come la parola patrimonio (dal latino patrimonium, derivato da pater, ‘padre’, e munus, ‘compito’; dapprima col significato di ‘compito del padre’ poi con quello di ‘cose appartenenti al padre’) è usato sia in diritto che in economia in quest’ultimo senso. Il matrimonio, nel significato semantico, è pertanto l’unione tra due persone al fine precipuo della procreazione. E poiché, non per scelta religiosa o politica, ma per condizione naturale, non si può procreare, almeno finora,  se non tra due persone di sesso diverso, il matrimonio è “l’unione tra due persone di sesso diverso al fine precipuo della procreazione”. Parlare di matrimonio tra due persone dello stesso sesso è come volere la quadratura del cerchio, proprio perché non si tiene conto della realtà di fatto. Ciò naturalmente non toglie, anzi è giusto che sia così, che lo Stato non debba provvedere a tutelare i vincoli di solidarietà diversi dal matrimonio esistenti tra persone dello stesso sesso o di sesso diverso. Tenendo conto che diversa deve essere la tutela di una unione tra due persone adulte e quella che si proietta nel futuro con i figli nati da questa unione.
Dopo il clamore suscitato dall’intervista il Vescovo ha dichiarato di essersi stupito di ciò, perché lui aveva detto solo cose ovvie. E infatti la stranezza di questa vicenda è proprio lo stupore per le cose ovvie: ma in Italia nessuno si stupì quando il Presidente del consiglio dell’epoca baciò la mano a Gheddafi, mentre ora tutti i giornali riportano con grande rilievo la notizia del presidente Monti che saluta il Papa con una stretta di mano e non fa “cucù” ai suoi ospiti. Chissà che prima o poi non possiamo ridiventare una società normale come tutte le altre!

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