LO SPETTACOLO

 

 Quanto più la necessità viene a essere socialmente sognata,

tanto più il sogno diviene necessario.

 Lo spettacolo è il cattivo sogno della società moderna incatenata,

che non esprime in definitiva se non il suo desiderio di dormire.

Lo spettacolo è il guardiano di questo sonno.

( Guy Debord, La società dello spettacolo, 1967)

Con la capacità di premonizione intellettuale tipica dei grandi pensatori, Debord – una vita decisamente anonima e anti-spettacolare – dava alle stampe nel lontano ’67 il suo “La società dello spettacolo”, pamphlet lucido e raggelante sulla crescente trasformazione della società (della sua organizzazione politica ed economica e dei suoi cittadini) in chiave “spettacolare”, angosciante sogno filosofico del berlusconismo che sarà ma non solo, essendo il concetto di Debord più ampio e profondo delle sue manifestazioni più di superficie.

Quello che è in gioco è l’arretramento dell’esperienza vissuta che cede inesorabilmente il posto alla sua rappresentazione: per cui i rapporti di classe e le tensioni e i conflitti che ne derivano diventano materiale costantemente narrato nelle diverse forme possibili della pubblicità, del merchandising politico, dell’informazione giornalistica.

Comunismo e capitalismo pre-finanziario erano imparentati dal ricorso allo strumento parziale dello spettacolo come costruzione feticista dei miti ideologici: nel mondo dell’economia del debito, lo spettacolo si è “integrato”, compattato e reso talmente pervasivo da non permettere più di ritrovare la realtà dietro o sotto di esso.

Spettacolo è la costante costruzione scenica in cui qualcuno dà una definizione di sé solo in quanto si confronta con qualcun altro funzionalmente definito come negativo, il “male”. La dialettica politica si è da tempo ridotta a questo.

Spettacolo è una guerra, la prima e la seconda in Iraq, cominciata con motivazioni inesistenti e continuata attraverso la produzione di un flusso ininterrotto di immagini, che ancora una volta raccontano le cose ma non le mostrano davvero (si veda il sottovalutato “Redacted” di Brian De Palma).

Spettacolo è la cancellazione del vero privato (in cui si ritenta il recupero di una rapporto unitario con il proprio lavoro) e la sua sostituzione con un privato totalmente alienato (il consumo).

Spettacolo è la perdita verticale del criterio discriminante fra chi fa spettacolo e chi lo gode: se tutto è spettacolo, tutti fanno spettacolo, nessuno è un professionista dello spettacolo. Difatti, nei Caroselli degli anni 60 la merce pubblicizzata era affidata a gente come Govi e Pisu, animali puri da palcoscenico; oggi tutt’al più si affida alla Chiabotto o a Del Piero (che fa però parte di un’altra area dell’universo spettacolare).

Vorremmo finire con un’altra citazione di Debord, che sembra ovviamente significativa della gravità della materia trattata. In un passo in cui parafrasa Marx, il nostro esordisce affermando che

           Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli.

Amen.

 

 

 

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