L’IRONIA DEL DESTINO

Alla maggior parte delle persone non succede in due vite, a me è successo la prima volta che entrai in prigione, avevo appena compiuto i miei diciotto anni, accusato di un reato per cui mi ritengo tuttora innocente. Ricordo il pianto di mia madre mentre era abbracciata a mio padre nella sua disperazione davanti quel gran cancello d’ingresso del carcere, aveva gli occhi pieni di lacrime e così carichi di dolore che dovetti distoglierete il mio sguardo dal suo; avrei voluto dissolvermi tra i sedili freddi di quella macchina e trovare un luogo buio e profondo dove non arrivassero nè amore, nè luce, dove rannicchiarmi e gemere per la rabbia e l’odio verso il mondo e me stesso. Ero seduto e ammanettato sul retro della macchina dei carabinieri ferma davanti il cancello d’ingresso giusto il tempo che questo nella sua lentezza si aprisse e inghiottisse ogni cosa al suo interno, quando mia madre si divincola dalla stretta di mio padre per toccare il finestrino che ci separava mandandomi un bacio con la mano. Lo fece come se potesse toccarmi e darmi la forza di cui avevo bisogno. Poi la macchina si mosse lasciandosela dietro e quando quel grosso cancello si richiuse il suo dolore me lo sentivo ancora dentro…

Molte persone manifestano il loro dolore piangendo solo dagli occhi; io avevo l’impressione che il mio corpo piangesse da ogni pertugio, sentivo già l’odore metallico del carcere e la certezza di essere stato lo spettatore passivo della tragedia che mi circondava, del fatto che dentro di me, si erano rotti tutti gli argini, che niente sarebbe stato più come prima, poiché la mia vita era stata sporcata dal destino e quella paura e quel peso me lo sarei portato dentro tutta la vita.

E tutto questo perché? Perché mi ero fermato a chiamare da una cabina telefonica la mia ragazza! Perché una coppia di turisti mi aveva accusato di averli rapinati! Avete mai pensato come la più insignificante delle decisioni possa cambiare il corso delle nostre vite? Si dice che la madre di Hitler quando era incinta fu sul punto di abortire, ma poi cambiò idea; se i genitori di Bin Laden non avessero mandato il loro figlio a studiare negli Stati Uniti, non ci sarebbe stato l’11 settembre e il mondo sarebbe diverso; se io, quella sera, dopo essere uscito dal ristorante, fossi rimasto con i ragazzi del club o se invece di prendere il gelato al ristorante, fossimo andati al bar tutti insieme, oppure se fossimo rimasti a parlare davanti al ristorante un po’ di più, o se una sola cosa di tutto ciò fosse successo, il mio destino sarebbe stato altro. Ma non è andata così e ciò che vissi in quei nove mesi, merita un capitolo a parte. Tornai a casa, ma il ragazzo che era stato uno studente e un atleta modello, era incapace di gestire persino le relazioni con gli amici e la famiglia che nella loro paura lo opprimevano. La mia fidanzata mi era ancora vicina, ma mi guardava come se io fossi un’altra persona e attraverso i suoi occhi cominciavo ad averne consapevolezza. Cominciavo a capire che la rabbia aveva preso il posto della rassegnazione. Mi svegliavo dai miei sogni inquietanti abbracciato al mio cane, l’unico simbolo di fedeltà nella mia realtà fatta di isolamento, sospetti e diffidenza.

Ebbero inizio le mie escursioni nella natura selvaggia, nella speranza di fuggire dal mondo, gli sport come il paracadutismo, il parapendio e il Bagi jumping, mi facevano provare sensazioni effimere, perché ero come una palla di fuoco, una forza oscura mi opprimeva il petto e mi rendeva difficile il respiro. La sentivo diffondersi dovunque, lasciandomi teso e pieno di rabbia e con una gran voglia di urlare e liberarmene. Ma non ci sono ancora riuscito.

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