L’inserimento nella classe normale è il contesto giusto

Le potenzialità, per garantire la piena integrazione dei disabili a scuola, sono davvero notevoli. Ma per far sì che vengano espresse, occorre il contesto giusto. Renzo Vianello dell’Università degli Studi di Padova, vero e proprio luminare del settore, ha tratteggiato quali i punti d’incontro tra i mondi della disabilità e della scuola nella seconda giornata del convegno, moderato da Roberto Pagano, consigliere segretario dell’Ordine regionale degli psicologi, promosso dalla cooperativa sociale Cos, in fase di svolgimento a Ragusa. Vianello ha aggiunto che “l’inserimento nella classe normale è un contesto giusto rispetto a quello, come dire, della ‘segregazione’ del disabile. E lo si è visto con risultati e ricerche”.

Un altro docente universitario, Anna Maria Pepi, dell’Università di Palermo, si è soffermata, invece, sul tema delle disabilità d’apprendimento. “Possono essere disturbi specifici – ha chiarito – non associati ad altre patologie. Da poco è stata approvata una legge che prende in considerazione la possibilità di dover fornire a questi soggetti degli ausili, mezzi compensativi e dispensativi, per superare le loro difficoltà”. Il dirigente scolastico ragusano Nino Barrera ha, poi, parlato della realtà locale. “Abbiamo nella nostra città – ha detto – istituzioni scolastiche che hanno accumulato tanta esperienza, maturando modalità di integrazione abbastanza efficaci. Tutto ciò è collegato alla capacità di avere una qual certa flessibilità sul piano organizzativo, di trattare i problemi della disabilità con criteri precisi.

Non ci sono bambini fotocopia. Ogni caso va affrontato a sé stante. Tutto questo passa attraverso una formazione continua dei docenti”. Il pedagogista Bartolomeo Favacchio, dell’Unità multidisciplinare di Modica, ha affrontato la questione del funzionamento intellettivo limite, quello che riguarda, di norma, i bambini timidi, inibiti, lenti, sottolineando come lo stesso abbia diversi risvolti. “Ecco perché occorre – ha detto – una diagnosi mirata al tipo di funzionamento intellettivo limite”.

Di particolare interesse, nell’illustrazione delle buone pratiche di inclusione del disabile, l’esperienza raccontata da Alessandra Farneti, della Libera Università di Bolzano, sulla clowneria come strumento per avvicinare la disabilità e come mezzo di formazione per chi si occupa dei disabili. Le sperimentazioni sin qui effettuate hanno prodotto risultati molto positivi. Santo Di Nuovo, ordinario di Psicologia all’Università di Catania, si è occupato, invece, di come la famiglia possa essere messa in crisi dalla gestione di una situazione di disabilità.

“Ecco perché – ha aggiunto – occorre una ristrutturazione, occorre rifare il patto familiare, proprio partendo da quella situazione nuova dovuta alla presenza di un soggetto disabile. E ciò può avvenire soltanto con il supporto del sistema sociale complessivo”. La dottoressa Ketty Cartillone ha raccontato la propria esperienza nella scuola di provenienza, la Cavour di Catania, dove svolge, contemporaneamente, le funzioni di docente e psicologa.

“E’ più difficile leggere – ha spiegato – le manifestazioni di disagio da soggetti che non sono disabili certificati. Mentre di questi ultimi c’è chi si occupa, la disabilità dei primi non viene vista. E può diventare molto problematica”. (a.b.)

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