L’INDIA

L’India è uno stato tra i più estesi al mondo, un subcontinente.

E’ bagnata dall’Oceano Indiano a sud, dal Mare Arabico a ovest, e dal Golfo del Bengala a est; confina con il Pakistan a ovest, Cina, Nepal e Bhutan a nord-est e la Birmania a est.

Prende il nome dal fiume Indo, uno dei suoi  principali corsi d’acqua ed è sede di una delle più grandi civiltà della storia e di vasti imperi. Ha moltissime diversità culturali ed è multietnica.

E’ la secondo economia in più rapida crescita dopo la Cina, ma ci sono grandi sacche di povertà, analfabetismo e malnutrizione.

L’articolo vuole  però porre l’accento sull’economia indiana e sulle ricadute  dei mercati mondiali.  Per meglio comprendere   va comunque osservato il colosso Cina, che è al primo posto come mercato de ha superato nel 2009 gli USA (ben quattro anni prima del previsto) e lo scatto è avvenuto solo negli ultimi decenni (dal 1979, con Deng Xiao Ping).

Gli storici notano un parallelismo. Secondo i calcoli dell’economista A. Meddison per conto dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), nel 1830, la Cina era ancora il numero uno della classifica di ricchezza delle nazioni ed aveva occupato tale posizioni per almeno cinque secoli), tallonata sempre dall’India. Sul totale mondiale, il PIL (prodotto interno lordo) cinese, pesava per un notevole 30% e quello indiano aveva dimensioni quasi uguali e questo non è mai riuscito nemmeno agli USA. Dalle guerre dell’oppio alla conquista del Bengala, il crollo cinese e indiano fu talmente rapido che già nel 1840 l’Inghilterra effettua il sorpasso diventando  prima  potenza industriale del  XIX secolo e nel XX viene superata dagli USA  che adesso si ritrova alla casella di partenza. Vero è che la parentesi occidentale è stata piuttosto breve (180 anni) nell’arco di una storia millenaria di ‘centralità asiatica’. La Cina quindi è tornata a primeggiare anche su un altro primato poco invidiabile: quello delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera e questo significa che noi compreremo sempre più da un Paese energivoro e distruttore di risorse naturali e in più governato da un regime autoritario che non intende rispettare uno sviluppo sostenibile.

Per capire il fenomeno, il crak del 1929 fu dovuto all’ideologia del protezionismo che  portò alla grande depressione e infine alla guerra.

Oggi non siamo in una situazione così grave. Ma ci sono zone  d’ombra e in queste si trova l’agricoltura. La grossa novità politica dietro il fallimento del Doha Round (negoziati per organizzazione mondiale del commercio OMC) riguardo le barriere commerciali in campo agricolo è la saldatura di un forte asse tra la Cina e l’India che hanno respinto le offerte occidentali. Ciò è abbastanza sorprendente perché per l’India come superpotenza dell’economia  globale, i suoi settori di punta  sono informatica e software, biofarmaceutica, servizi avanzati, mentre per l’agricoltura  va verso il mercato interno.

Come nacque il Doha Round? Fu l’ultimo progetto globale lanciato dall’Occidente con un ruolo decisivo degli Stati Uniti. Puntava a diffondere benessere nei Paesi più poveri attraverso la liberalizzazione degli scambi agricoli. Tale progetto  fu però vanificato dai fatti, a causa del prolungato sabotaggio del multilateralismo dell’amministrazione Bush.

Ma anche Cina e India stanno commettendo errori e ricadranno poi su tutti. Oriente ed  Occidente.

Stranamente, per non aver saputo controllare il boom delle nascite, è l’India ad avere una marcia in più: ha la forza lavoro più giovane del mondo. La dinamica della competitività  e la demografia giocano in favore dell’Asia. Per mezzo secolo l’India avrà il vantaggio di essere il colosso più giovane del pianeta.

La sfida indiana richiede altri sforzi: investimenti per l’istruzione, infrastrutture una liberalizzazione più ampia  per attirare investitori esteri, flessibilità del mercato del lavoro e riduzione della burocrazia.

L’India, paradossalmente, dovrà somigliare di più alla Cina per superarla, a cominciare dalla modernità delle autostrade e aeroporti, nello sviluppo manifatturiero,  e anche apertura ai mercati  globali.

L’india ha però anche dei punti deboli. La povertà estrema di milioni di indiani, molti vivono in  zone rurali  prive di acqua potabile e fognature. Per questo la speranza del subcontinente indiano è legata al’istruzione. Ma il sistema scolastico è l’illustrazione drammatica di una patologia indiana: la corruzione, l’inefficienza , il parassitismo della burocrazia statale.

La società civile cerca di rimediare mandando i figli alle scuole private che sono  più efficienti  benché  gli stipendi degli insegnanti siano un terzo di quelli degli statali, ma per molti sono ugualmente un  grosso sacrificio e chi ne viene penalizzato sono le bambine per dare la possibilità di frequentare ai fratelli maschi.

Ogni anno sforna duecentomila laureati in ingegneria, ma ha  380 milioni di analfabeti.

Il vitale caos indiano contiene le contraddizioni più estreme. Persiste l’infamia delle caste  e in alcune zone rurali gli ex paria ( intoccabili, fuoricasta) sono spesso oggetto di violenze, aggressioni, omicidi, per punirli di non essere stati “al loro posto”. Al tempo stesso vige la democrazia per le caste inferiori dando loro il voto e la rappresentanza politica. L’India è il primo caso storico di una democrazia nata in un paese estesissimo, con una elevata percentuale di analfabeti, prima che si formasse una forte borghesia e un ampio ceto medio. E’ un  esempio unico di liberaldemocrazia fondata sul consenso di una maggioranza di poveri e di contadini.

Grazie al loro peso in parlamento, i partiti che rappresentano i  più deboli hanno ottenuto per loro delle quote di assunzioni garantite nel pubblico impiego e nelle università. Un altro miracolo indiano è stato quello di impedire la fuga di cervelli e di far rientrare tanti dall’estero. Un altro aspetto oscuro per l’ascesa indiana è l’inquinamento e questo paese è diventato una delle  discariche del pianeta e questo si ripercuote a tutti i livelli come ad esempio il Punjab, chiamato il granaio dell’India, è afflitto dalle patologie che soffre l’agricoltura moderna: raccolti intossicati dall’eccesso di pesticidi, siccità, monoculture, impoverimento dei suoli acque contaminate dai fertilizzanti chimici e le malattie umane  come il cancro cui sono correlate, con conseguenze a cascata in tutto il mondo, perché questi paesi come la Cina e l’India cercano sbocchi altrove e fermare i disastri, come si vede, diventa difficile.

Non ci sono risposte semplici, ma il mercato globale ha dimostrato che non è funzionale e sono già andate distrutte  moltissime specie vegetali. Forse sarebbe ora e tempo che i politici la smettessero di pensare all’immediato e che Occidente e Oriente pensassero all’importanza dell’agricoltura sana e meno inquinata, rispettando il territorio per il benessere e il futuro di tutti.

Le notizie sono state estrapolate dal testo Oriente: il grande ritorno di Alessandro Corneli.

 

                                               

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