L’IMMAGINARIO E L’EUROPA

Sta per essere diffuso il nuovo numero del periodico L’Immaginario, diretto dal Prof. Antonino Lauretta. La nuova pubblicazione porta la data di maggio 2014, in molti penseranno “anacronistico”, ed in effetti la tempistica può portare a tale considerazione, ma al momento dedichiamo attenzione ai contenuti, molti dei quali recanti come argomentazione l’Europa. Il concetto di Europa viene esaminato da più punti di vista: Europa matrigna, Europa lontana, Europa idea astratta, Europa e i giovani, Europa inesistente. Tutte  considerazioni che rischiano di fornire una valutazione fin troppo semplicistica del significato di Europa. C’è la raffigurazione di una nazione tanto attenta alle leggi e alla fiscalità, quanto distante dai veri problemi dei singoli paesi che la compongono (l’immigrazione clandestina, l’operazione Mare Nostrum, è oramai divenuto il baluardo della cattiva politica europea); esiste l’Europa di chi la vive da vicino ma la sente lontana, come nel caso di un giovane che vive a Bruxelles e racconta di quanto senta distante e vuoto il palazzo in cui ha sede la Commissione Europea. Ne ha una visione opaca e ne rimane deluso, come se, ingenuamente, si aspettasse che le porte del palazzo si aprissero al pubblico alla stregua di quelle di uno dei più blasonati centri commerciali, in cui ci si sente protagonisti, avvinghiati da luci, slogan, brand di successo e vetrine ricche di prodotti accattivanti. Oltremodo sorprendente, seppur nella sua scontatezza, il pensiero di una giovane studentessa di Buccheri (SR): per lei l’Europa è un concetto lontano, non definito, che non sente suo. Come non darle ragione? Gli italiani per primi non abbiamo ben chiaro il concetto di unità. Siamo animati da spirito regionalistico, prima ancora che nazionalistico, soffriamo la differenza tra il nord ed il sud, ci additiamo come terroni e polentoni, come a voler marcare bene i confini, quei confini che l’Europa vorrebbe arrogarsi il diritto di abolire. Questa idea che abbiamo della Comunità europea corrisponde effettivamente alla realtà, oppure la realizzazione di una nazione merita considerazioni ulteriori?  Forse, per far nascere uno stato europeo, c’è bisogno di un processo culturale molto lungo, di una rivoluzione sociale profonda che non cerchi il cambiamento nel pratico ma nell’ideologico. Non si può fingere, e raccontare la finzione che l’Europa esiste come realtà a sé stante, che vive e si nutre della divisione tra i suoi paesi membri, senza spiegare il concetto di diverso prima, e di unione poi. C’è bisogno di essere educati ad essere europei, e non limitarsi a raccontare le pecche e i difetti di uno stato imperfetto. Non si può fare questo, perché, mentre subiamo passivamente la parvenza di Europa che ci vogliamo raccontare, la vera Europa la sta creando la natura, ce la sta portando il mare. Migliaia di migranti continuano a popolare le nostre coste alla ricerca della loro Europa, giungono in Italia con la speranza di recarsi successivamente in altri paesi, Spagna, Francia, Germania, alla ricerca di un futuro migliore. Arrivano in una terra che nessuno ha ancora compreso, un terreno vergine e fertile in cui stanno mettendo radici, in cui la loro presenza, tanto in Italia quanto negli altri paesi membri dell’unione farà da collante, quel collante che è motivo di unità, quell’unità che oggi si chiama immigrazione, ma che domani si chiamerà Europa.

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