L’EURO UN’OPZIONE O UNA NECESSITÀ?

Oramai da oltre 10 anni abbiamo in tasca gli Euro e il decennale ha coinciso con una crisi gravissima: è giunta l’ora di ripensare le scelte fatte 10 anni fa?

Alla luce della dotta riflessione operata il 26 aprile dal prof. Francesco Raniolo ordinario di Scienza Politica all’Università della Calabria, dall’Avv. Salvatore Inghilterra Direttore Generale della Banca Agricola e da Giovanni Moro sociologo politico dell’Università di Macerata, presidente della fondazione FONDACA e di cui Mauro Vargetto ha dato puntiglioso rendiconto sabato scorso, mi sembra utile attuare con voi un momento di  condivisione di alcune problematiche.

Tanti sono i punti critici relativi alla nascita e alla vita della moneta unica.

1)    L’Euro è nato per “unire” i popoli europei, ma di fatto con il rifiuto ad aderire di alcune nazioni anche fondatrici della Comunità Europea come Gran Bretagna, Svezia e Danimarca, sta amplificando  la “divisione” con questi popoli.

2)    E’ nato per dare stabilità e creare benessere ai popoli che ne fruivano, e ci ritroviamo nella crisi più nera che si ricordi a memoria di uomo.

3)    Dal suo avvio l’inflazione “percepita” è stata di gran lunga più alta di quella “registrata” dagli organismi preposti.

4)    A distanza di 10 anni non ci si è ancora dotati di strumenti o di autorità che possano gestire in modo pieno una politica monetaria europea.

E allora dobbiamo riconoscere che il bilancio è negativo? Dobbiamo addirittura porci il problema di  trovare una via per il ritorno alle monete nazionali?

Anche se consapevoli di tutto questo, dopo una analisi delle cause vere delle criticità individuate, non tutte riconducibili alla moneta, si può essere concordi nel ritenere che gli elementi positivi sono di gran lunga superiori e che da questo processo non si deve, ma probabilmente, non si può tornare indietro.

L’Euro ha realmente creato una appartenenza e una identità nei popoli che l’adottano; da una ricerca effettuata, oramai oltre il 70 % dei cittadini che hanno adottato l’Euro “ragionano in euro” hanno smesso di pensare ricorrendo alla vecchia moneta.

Una moneta “vive di fiducia” e l’Euro ha dimostrato, al di la delle situazioni particolari che hanno impattato pesantemente su alcuni Paesi membri, di godere di grande fiducia internazionale se è vero come è vero che nonostante la crisi dei debiti sovrani che attanaglia i Paesi mediterranei la moneta si è svalutata pochissimo rispetto alle monete concorrenti come il dollaro che ha recuperato meno del 10% rispetto a prima della crisi.

Sia la crisi economica che l’inflazione non sono certamente addebitabili alla moneta:

a) la crisi ha trovato come elemento di debolezza sul quale scaricare le tensioni il debito sovrano di alcuni paesi dell’area Euro e anzi probabilmente per questi paesi, tra cui il nostro l’appartenere all’area Euro costituirà un salvagente economico; b) l’inflazione nel periodo di creazione dell’Euro c’è stata “a prescindere”, indotta dall’aumento del costo delle case e del petrolio seguiti all’11 settembre; per quanto riguarda poi il nostro paese, l’inflazione “percepita” (che purtroppo non è stata solo percepita, ma che ha pesantemente ridotto il potere d’acquisto delle fasce di popolazione a reddito fisso) è stata il frutto di una assenza di politiche di controllo che altri paesi hanno invece effettuato: l’Italia (dove si è verificato un avvicendamento al governo tra chi aveva voluto l’ingresso in Euro e chi invece lo considerava “una tragedia”) ha strumentalmente evitato di effettuare qualsiasi presidio della correttezza del cambio utilizzandolo (in modo assolutamente miope) come politica clientelare nei confronti dell’elettorato di riferimento (le partite IVA).

Ma al di la di queste e altre considerazioni che è possibile fare, l’Avv. Inghilterra ha letto una serie di dati di contesto che non lasciano margini di dubbio: considerati i primi 100 enti che producono più “ricchezza” (PIL o fatturato) solo 49 sono stati sovrani, 51 sono gruppi finanziari privati; e ancora, tolto dalla somma dei PIL prodotti da tutti gli stati del mondo che sono 191 le prime 9 economie, il PIL residuo (quello in pratica degli altri 182 paesi sovrani) è inferiore alla somma del fatturato dei primi 51 gruppi finanziari privati!

In una economia così strutturata ritornare alle piccole monete nazionali ha senso? Ci tutelerebbe di più o ci renderebbe più vulnerabili (senza rimedio alcuno) rispetto a qualsiasi tipo di speculazione?

Il vero problema, quello delle istituzioni che non hanno trovato lo strumento per permettere all’area Euro di avere un governo della moneta autonomo e pieno, con possibilità di usare tutti gli strumenti possibili di politica monetaria è una criticità con cui i Paesi Euro stanno facendo i conti e i periodi di crisi normalmente sono i momenti di gestazione di scelte importanti e innovative.

Per cui la risposta dopo i primi 10 anni non può essere tornare indietro, ma continuare con maggiore decisione il processo di integrazione europea, perché appare l’unica risposta congrua rispetto a un’economia che non è solo globalizzata, ma sempre più in balia di una finanza “corsara” che ubbidisce a logiche ciniche di profitto.

Senza trascurare poi che la motivazione principale del processo di unificazione europea non è mai stata ne difensiva ne utilitaristica, ma fortemente ideale e tendente all’ampliamento del principio di cittadinanza europea quale elemento di ampliamento degli orizzonti culturali e sociali dei popoli e grande momento di pacificazione globale.

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