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L’Etna Rosso che non ti aspetti
22 Nov 2010 20:46
C’è un El Dorado del vino in Sicilia: è l’Etna. Lo straordinario territorio dell’Etna e i vini di grandissima finezza derivati soprattutto da nerello mascalese sono da qualche anno sotto i riflettori del panorama enologico italiano. È un vitigno, il nerello mascalese, riscoperto in questi ultimi anni, precisamente alla fine degli anni ’90. La sua presenza sull’Etna risale a quattro secoli fa, ma il suo vero potenziale soltanto adesso è stato riscoperto. I produttori etnei, intorno al 1700, lo conoscevano benissimo e lo chiamavano nireddu mascalisi: mascalise perché proveniente dalla piana di Mascali. Nel 1800 l’Etna produceva 100 milioni di litri di vino destinati in gran parte all’esportazione, soprattutto verso la Gran Bretagna. Essendo vini ricchi di acido malico e tannino potevano affrontare lunghi viaggi.
Presero così l’appellativo di “vini navigabili”. A un certo punto i vigneti etnei sono stati in gran parte abbandonati, sia perché il nerello è un vitigno poco produttivo, sia perché l’unico modo di allevarlo sull’Etna è l’alberello: sistema che rende impossibile qualsiasi forma di meccanizzazione. Dopo un lungo abbandono di questi vigneti, alla fine degli anni ’90, sarà Mick Hucknall, cantante dei Simply Red, che, con la collaborazione dell’enologo Salvo Foti, riporterà alla ribalta questa zona con la cantina Il Cantante. Oggi sono circa una sessantina le aziende presenti nell’Etna, contro le dodici di qualche anno fa. In questa zona, però, cantine ci sono sempre state e le potenzialità dei vini qui prodotti non erano sfuggite a Mario Soldati già nel 1968. Semplicemente non riuscivano ad avere un mercato più ampio.
La zona più vocata per la produzione di vini è la zona nord, poiché verso sud i vigneti ne escono arsi dalla calura e il nerello non ama il caldo. Proprio per questo, nella zona sud, i vigneti sono impiantati ad altitudini maggiori (600-1100 m. s.l.m.), in modo da evitare l’eccessivo calore. Le temperature medie sono più basse rispetto al resto dell’Isola, ma sono soprattutto le forti escursioni termiche tra giorno e notte a garantire la grande qualità organolettica delle uve. Le piogge sono distribuite, poi, nel periodo autunno-inverno e a volte in concomitanza con il periodo vendemmiale. Sono, comunque, molto più presenti nella parte est che nel resto del vulcano. La tessitura del terreno etneo è, ovviamente, molto simile (sabbia e lava soprattutto), ma non per questo omogenea: colate diverse in epoche diverse con affioramenti distinti, anche a pochi metri di distanza, fanno sì che ci si trovi con delle variabilità.
Sull’Etna è facile imbattersi con vigneti coltivati ad alberello che hanno dai 60 ai 160 anni. I vitigni più antichi sono prefillosseri. La fillossera è un parassita che vive attaccando le radici delle viti europee, che alla fine dell’Ottocento ha praticamente devastato gran parte del vigneto europeo, costringendo a reimpiantare la quasi totalità dei vigneti europei. In epoca fillosserica tutti gli impianti oltre i 400 metri di quota piantati nell’Etna ne sono uscirono illesi, mentre per quelli piantati a quote i più basse non è rimasta altra scelta che spiantarle e lasciare spazio ai più solidi agrumeti.
Oggigiorno i vini rossi dell’Etna sono stati paragonati al pinot nero, proprio per la grande interpretazione che fa del territorio il nerello mascalese. Vi è, infatti, chi sostiene che il nerello sia un clone di pinot nero impiantato da un francese in Sicilia: teoria che sembrerebbe essere priva di fondamento. Le similitudini, però, ci sono, ma non sembrerebbero essere genetiche, ma organolettiche: trasparenza cromatica, profumo fruttato, eleganza, ma soprattutto grande interpretazione del territorio. È un vitigno tardivo. Dipendendo dalla zona d’impianto, la vendemmia può essere effettuata fino alla seconda o alla terza settimana di ottobre; a volte anche a novembre. Il nerello ha una notevole sensibilità all’annata e al territorio di provenienza. I vini prodotti da nerello mascalese, coltivato nell’Etna, sono generalmente: molto minerali (cenere, grafite, catrame, ferro), fruttati, floreali, con grandissima eleganza e salivazione dovuta più alla sapidità che all’acidità. Tannico quando è giovane, ma appena pronunciato dopo uno o due anni di invecchiamento. Vini molto diversi da quelli a base di nero d’Avola.
L’articolo 7 del disciplinare di produzione dell’Etna DOC consente l’uso di indicazioni geografiche e toponomastiche che facciano riferimento a comuni, frazioni, aree, fattorie, zone o località comprese nella zona delimitata. Sarebbe auspicabile che il consorzio dei produttori dei vini etnei promuovesse l’inserimento obbligatorio, e non più volontario, del nome della contrada da cui provengono la uve di un determinato vino. Promuovendo, in questo modo, un approfondimento del concetto di terroir tipico delle AOC francesi. (Giuseppe Manenti)
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