LE TRIVELLE DELLA DISCORDIA: LEGAMBIENTE FA UN PO DI CHIAREZZA

L’Associazione ambientalista esprime innanzitutto estrema amarezza per l’invito all’astensione da parte del Governo, il quale pontifica che si stanno perdendo 400 milioni di euro che potevano servire per gli asili nido. Infatti è evidente a tutti la meschinità della furbesca scelta di non aver accorpato il referendum alle amministrative con la scusa di “salvaguardare il diritto all’astensione” ed al tempo stesso “stracciarsi le vesti” per dire che il referendum è inutile e costoso.

In vista del referendum del 17 aprile Legambiente cerca di fare chiarezza su di una serie di elementi con i quali si cerca di sminuire la portata dell’iniziativa referendaria.

Dai banchi del governo viene dichiarato che questa consultazione è ideologica. Legambiente ribatte che invece è concretamente strategica. Infatti dietro i tecnicismi dell’unico quesito sulla scheda elettorale si cela un dibattito che interessa il futuro del nostro Paese: meglio continuare a sfruttare quel poco di gas e petrolio che abbiamo, o meglio investire in energie rinnovabili ed efficienza energetica?  Si vuole o no un cambiamento reale di modello energetico, che creerebbe tra l’altro dei posti di lavoro in numero esponenzialmente superiore rispetto ai posti creati con le energie fossili?

Per quanto concerne specificamente il lavoro, è’ sufficiente consultare qualche banca dati per evidenziare che l’industria del petrolio non è ad alta intensità di posti di lavoro. La “Saudi Aramco”, il gigante di stato saudita che controlla le intere riserve e produzioni di petrolio e gas dell’Arabia Saudita, impiega circa 50.000 persone (molte delle quali solo per motivi sociali) per gestire una capacità produttiva che, nel petrolio, è oltre sette volte il consumo italiano (!).  La capacità produttiva di tutti i nostri impianti petroliferi messi assieme raggiunge solamente qualche unità percentuale del nostro consumo.  In base a questi dati, è lecito supporre che i conti che vengono fatti sul numero di occupati in Italia nel settore petrolifero siano sovradimenisonati ad arte. Infatti, in base a quanto detto, come è possibile che da più parti venga dichiarato che con questo “inutile” referendum sono a rischio 11.000 posti di lavoro ?

In definitiva gli 11.000 posti di lavori a rischio sono una bufala;  viene sventolato questo falso rischio solo a fini politici e nient’altro. E’ evidente a questo punto qual’è la vera questione in ballo: i petrolieri non vogliono quei controlli che nel caso di vittoria del referendum verrebbero resi più stringenti, oltre al fatto che, dilazionando i tempi di sfruttamento, allontanano gli obblighi di effettuare le costose bonifiche.

Infine a proposito di rischi veri si rammenta  che, in barba alle presunte stringenti normative sulla sicurezza adottate, nel Mediterraneo (mare chiuso) il numero di incidenti è in costante aumento  (vedi figura allegata, fonte dati REMPEC).            

Queste informazioni non sono frutto di un complotto ordito da un covo di ambientalisti, ma dati scientifici forniti da organismi internazionali che sono stati ripresi dall’ISPRA  nel rapporto n. 149/2011 “Sversamenti di prodotti petroliferi: sicurezza e controllo nel trasporto marittimo”. Nel documento, lo  stesso  ISPRA sottolinea che gli incidenti che hanno coinvolto le piattaforme di estrazione del greggio sono, purtroppo, “ben più gravi” rispetto a tutti gli altri.  L’ISPRA,  un Istituto che il Governo   dovrebbe ben conoscere. Per tali motivi Legambiente non può che invitare ciascun Cittadino a far valere il proprio DIRITTO/DOVERE di esprimersi al referendum del 17 aprile .2016 VOTANDO  SI.

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it