Le scaramucce della campagna elettorale. Mentre rischiamo la guerra nucleare

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola 

Politica e realtà. Una distanza siderale. Le polemiche elettorali infantili, le recriminazioni del passato, i voltafaccia ideali, il processo kafkiano alle intenzioni, le promesse altisonanti (sempre le stesse da decenni), le alleanze raffazzonate e i narcisismi senza quiete.
Un vocabolario avvilente. Mentre le attività commerciali soffrono o chiudono sotto i fendenti della Dea Bolletta. E nel frattempo, fa capolino il fantasma di una eventuale guerra mondiale sullo sfondo degli spettri invisi.

La realtà e la propaganda. Come due universi paralleli. Due mondi. Che non si parlano e non si incontrano. In un multiverso dissociato. Che a me lascia come un senso di straniamento e alienazione. Non ne faccio una questione politica o ideologica. Osservo quasi tutti i partiti e i movimenti. E analizzo la comunicazione. La loro strategia di auto-persuasione. La capacità di non parlare al popolo dell’astensione. Di non sfiorare l’interiorità dei giovani e degli anziani con la stessa precisione chirurgica ed ecumenica. La pervicacia della non rappresentazione di ciò che accade e ciò che può accadere. Il talento nel non prevedere nulla che non sia già avvenuto e consumato. La lungimiranza nel non proteggere dai rischi e dalle alluvioni dell’esistenza i propri connazionali. E, dall’altra parte, invece raccolgo, anche per lavoro, gli stati d’animo degli umani più ordinari. I loro bisogni, le apprensioni, le idee. In questa psicologia dell’assurdo.

Una notizia squarcia ora in Italia il cuore della campagna elettorale: la chiamata alle armi del Cremlino, con il discorso di Putin che annuncia la mobilitazione parziale e minaccia la guerra nucleare. Il Mondo trema. Il Mondo cosciente, perlomeno. Dai leader di partito italiani arrivano ora commenti di preoccupazione e condanna. Ad un tratto, si sono ricordati della guerra. E delle prospettive di un’emergenza. Tutti clamorosamente in ritardo. Di decenni forse.
Enrico Letta rivolge una condanna e un appello ai partiti a prendere posizioni senza ambiguità: “L’Italia non sta con la Russia, sta contro la Russia”. Secondo Letta “la destra è carica di ambiguità nei rapporti oggi con l’imperialismo di Putin. Gli italiani non votino per gli amici di Putin. Putin partecipa al voto 25 settembre e sarà il primo a guardare il risultato. Se vincesse la destra in Italia, Putin sarebbe il primo a festeggiare”.
Capisco. Posizione legittima. Ecco, tuttavia, vorrei dire sommessamente al Pd che il problema ora non è vincere le elezioni in Italia contro Putin. È semmai cercare di scongiurare a tutti i costi una tragedia nucleare. Noi pensiamo di conoscere Putin, crediamo di sapere di cosa sarebbe capace, ma non conosciamo forse neppure i nostri elettori. Le persone si aspetterebbero delle rassicurazioni concrete su questo tema/rischio. Non divagazioni elettorali muscolari e provinciali.

Giuseppe Conte sottolinea come il Movimento 5 Stelle ha “sempre mantenuto linearità e coerenza. Noi siamo a sostegno dell’Ucraina, il problema è la strategia e il discorso di Putin lo dimostra. Vogliamo una escalation militare senza più limiti e confini? Accettiamo questo rischio? Io non sono assolutamente d’accordo, già abbiamo una recessione economica devastante… Le parole di Putin significano debolezza, ma la debolezza può coincidere con la disperazione … Nel discorso di Putin non c’è nulla di nuovo se non il rischio di un’escalation militare che era già scritta, con tutto quello che comporta e che non potevamo non calcolare”.
Capisco. Altra posizione legittima. Tuttavia, vorrei dire sommessamente al Movimento 5 Stelle che il dilemma è sempre stato come mettere insieme l’imperativo etico, morale e civile di sostenere l’Ucraina aggredita e la necessità di scongiurare a tutti i costi una tragedia nucleare. Le persone si aspetterebbero delle azioni coerenti, coraggiose e concrete su questo tema/rischio. Non l’avallo di fatto di iniziative “militari” (invio di armi) da una parte e la dichiarazione sulla necessità di non esasperare oltre misura il Cremlino dall’altra.

Matteo Salvini è stato più laconico: la mossa di Putin “non è una buona notizia. Spero che la guerra finisca il prima possibile.”
Grazie. Non fa una grinza. L’alunno avrebbe potuto applicarsi di più ed elaborare l’ovvio in uno sviluppo del concetto.

Giorgia Meloni è più psicologa: “Bisogna stare attenti, compatti. Quando uno è nervoso le conseguenze possono essere di ogni genere. Serve lucidità, compattezza e diplomazia … Il discorso di Putin tradisce una grandissima difficoltà, debolezza e disperazione”.
E quindi? Che famo? Lo dico perché, alla luce di questa psicoanalisi inquietante (ma plausibile) dello stato di Putin, oggi dal primo ministro italiano in fieri ci aspetteremmo una exit strategy dettagliata e pragmatica.

In conclusione, comunque la si pensi, a trafiggere l’ambivalenza di parole aeree, sopraggiunge una comunicazione almeno chiara e concreta: “Dialogo con la Russia? Puzza, ma si deve fare”. Ne è l’autore un politico autentico. Francesco detto Bergoglio.

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