“LE FOTO PIU’ BELLE DEI NOSTRI LETTORI”

 

Per la sessantaduesima uscita della rubrica “Le foto più belle dei nostri lettori” andiamo alla scoperta di un altro dei riti della Santa Pasqua nel territorio ragusano e, nello specifico, a Ispica grazie agli scatti di Salvo Bracchitta.

Parlare di “Pasqua negli iblei” vuol dire coniugare la Fede con il Folclore, che danno vita a festeggiamenti dai tratti diversi di paese in paese. Celebrazioni tutte degne di essere conosciute e portate avanti negli anni.  Ad Ispica si hanno due celebrazioni antagoniste, che si svolgono rispettivamente il Giovedì ed il Venerdì Santo. La prima, del giovedì, è la festa dei cavàri con protagonista il simulacro del “Cristo alla Colonna” (u patri a culonna), mentre il venerdì si celebra la festa dei nunziatari, con il loro “Cristo con la Croce” (u patri a cruci).

Si è detto antagoniste perché all’origine si trattava di due fazioni che, per i soliti motivi originati da situazioni di classe (e quindi economiche, sociali e politiche), hanno cercato nel tempo ciascuna di rendere la propria celebrazione religiosa più importante dell’altra, approfittando dell’occasione per scaricare i vecchi rancori accumulati durante l’anno. Naturalmente manca oggi lo spirito fazioso e le rivalità, mentre nel compenso sono rimasti quasi immutati i rituali e le relative tradizioni. Le celebrazioni hanno inizio il Giovedì Santo quando, verso le due del mattino, si muove la Via Crucis notturna dalla chiesa di S. Maria della Cava: i fedeli, nottetempo, si riunivano davanti a questa piccola chiesetta scavata nella roccia, al centro delle abitazioni neolitiche, provenienti da ogni parte; e si tratta non solo di adulti, ma anche di piccoli ed anzianissimi. Ad un certo punto, ad un segnale stabilito, si accendono le fiaccole, e si vede svettare una croce: è il segnale dell’inizio della silenziosa processione che – in uno scenario suggestivo – muoverà dalla “cava” in lunghissimo corteo.

E passo dopo passo questa folla di fedeli raggiungerà, un paio d’ore dopo, la chiesa di S. Maria Maggiore, ove altra folla già attende sul sagrato, in attesa di entrare tutti insieme nel tempio. Appena la chiesa è gremita, ha inizio il rituale più importante della manifestazione e che caratterizza la festa: si tratta della scinnùta ro patri a culonna. I congregati dei cavari (in effetti della Arciconfraternita di S. Maria Maggiore), che si distinguono per la camicia bianca con la sciarpa e il collare rosso vermiglio che indossano, prelevano dalla sua nicchia il simulacro del Cristo e nello stesso istante – in un urlo corale con la folla – gridano il fatidico picciòtti chi nun purtàmu a nuddu, Culonna. Il grido, ripetuto ed urlato fino al parossismo, chiaramente dimostra la partigianeria dei cavari, i quali – stando alla traduzione letterale – altri non porterebbero, e ad altri non darebbero la loro venerazione, se non al “loro” Cristo alla Colonna.

Questo simulacro, di antichissima fattura (provenendo alcuni pezzi da un crocefisso del 730 d. C., e poi ricomposto in statua dopo i guasti del terremoto del 1693), viene quindi scoperto e posto al centro della Basilica: nel pomeriggio sarà portato a spalla, dopo essere stato salutato dallo sparo di 21 colpi di mortaretto all’uscita dalla chiesa, lungo le vie della città, seguito da una immensa folla. Sul simulacro viene portato anche un reliquario dove è conservata, secondo tradizione, una scheggia della Croce di Cristo. Anticamente era questo il giorno in cui i flagellanti, fedeli penitenti, seguivano il corteo con le spalle ignude e colpendosi con flagelli di corda; mentre altri, in segno di umiltà e ritenendosi ancor più peccatori degli altri, strisciavano la lingua sul pavimento della Basilica, dal portone fino all’altare maggiore.

E’ possibile, ancor oggi, notare gli ex-voto in cera che a centinaia vengono appesi in questa giornata ai cornicioni bassi lungo le pareti del tempio. Si tratta di riproduzioni in cera di gambe, braccia, seni, ventri; ed ancora di pupattoli e bambole, rappresentanti i bambini, i quali, tutti infiocchettati ed ornati di rosso, vengono “affittati” dalla Commissione organizzatrice della festa dietro un obolo: i fedeli, per grazia ricevuta, o per voto fatto, vogliono così esprimere un ringraziamento o una invocazione alla divinità. Il rientro del simulacro è previsto per la mezzanotte, ma la congregazione dei cavari, e i fedeli tutti, cercano in ogni modo di ritardare quanto più possibile questo rientro, quasi non vogliano staccarsi dal loro amatissimo simulacro. Ma non basta: una volta rientrati nella basilica, continuano a portare a spalla il simulacro facendogli compiere interminabili giri tra le navate prima di ricollocarlo nella sua nicchia.

Ed eccoci giunti al Venerdì Santo, quando si svolgono cerimoniali e rivalità che hanno delle precise analogie con i precedenti già descritti. Stavolta è il turno dei nunziatari i quali, nella mattinata e nella chiesa dell’Annunziata, danno vita alla scinnùta rò Signuri, prelevando dalla sua nicchia, questa volta, il simulacro del “Cristo con la Croce”. Il grido, anzi l’urlo dei congregati e dei fedeli è: picciòtti chi nun purtàmmu a nuddu, Cruci, Cruci.

Quest’altro simulacro, opera dello scultore Guarino da Noto, del ‘700, è composto da un gruppo ligneo con il Cristo e due Giudei, che viene momentaneamente nascosto da un paravento, dopo essere stato prelevato dalla nicchia; quindi il sacerdote officiante si avvicina al paravento, batte tre volte sulle “porte” che nascondono il Cristo, e queste – abilmente mosse – cadono al terzo colpo, mentre il popolo in delirio grida per tre volte Viva lu Patri, Viva lu Patri, Viva lu Patri.

A questa calàta re porti, avvenuta il mattino, come già detto, seguirà una processione pomeridiana del simulacro, portata a spalle dai congregati dell’Annunziata, che si distinguono per il loro saio bianco e mantellina azzurra, e da un’altrettanto numerosissima folla come quella dei cavari.

Un tempo – lo documenta una lettera del 1572 – la processione era fastosa, preceduta da un corteo di cavalieri e nobili personaggi; e fino a non molti anni or sono, la processione era aperta dalla “cavalleria”, uomini in costume a cavallo: oggi il tutto si è ridotto a poche comparse a cavallo.

La processione, ancora oggi, e per antica tradizione, si ferma per qualche tempo davanti la basilica di S. Maria Maggiore, dove si ha “l’incontro” tra il Cristo ed il simulacro della “Addolorata”.

Anche questa processione dovrebbe concludersi a mezzanotte, ma viene sistematicamente ritardata: immancabili giri, ripetuti, entro la chiesa, fanno passare le ore prima che il simulacro venga ricomposto nella sua nicchia.

Ed a proposito di questi “giri” vale la pena ricordare che hanno una loro ben precisa origine e significato. A seguito dei disordini, delle intemperanze e faziosità che avvenivano un tempo tra i cavari ed i nunziatari (i primi esponenti della classe povera, i quali aspettavano questa festa per dimostrare che avevano più fede dei secondi; e gli altri, ossia i nunziatari, esponenti della classe agiata, che oltre alla fede potevano contrapporre lo sfarzo della festa), fu emanata una ordinanza governativa del 1877 con la quale veniva disposta la soppressione di entrambe le celebrazioni. Ne scaturì una ferma opposizione da parte del popolo, e per quell’anno le celebrazioni vietate si svolsero entro le mura delle due Chiese. L’ordinanza fu poi ritirata, ma a solenne ricordo della ribellione all’ingiusto divieto, ecco il ripetersi simbolico dei giri. Un’ultima annotazione su questo Venerdì Santo: per una mai dimenticata tradizione, ogni venti anni, la processione lascia le mura della città e si spinge fino alla chiesa di S. Maria alla Cava.

La Domenica di Pasqua gli Ispicesi hanno ancora due processioni: la prima è quella che parte dalla chiesa di S. Bartolomeo, con il simulacro della “Madonna”; la seconda muove dalla chiesa dell’Annunziata con il simulacro del “Cristo Risorto”: le due processioni si incontrano davanti la vecchia sede municipale, per poi dividersi e fare rientro nelle rispettive chiese, entro l’una antimeridiana. All’incontro, che avviene a mezzogiorno in punto, i portatori dei due simulacri – al segnale dato da un furibondo sparo di mortaretti – partono dalle rispettive posizioni correndo, quasi il preludio ad uno scontro frontale che solo la bravura riesce ad evitare. Appena i simulacri sono fronte a fronte, alla “Madonna” viene fatto abilmente cadere il manto nero, ed il suo simulacro fatto inchinare in un simbolico atto di omaggio al Figlio; intanto vengono liberati stormi di colombe.

Un ringraziamento particolare al nostro lettore ed amico Salvo Bracchitta che ci ha regalato con i suoi scatti alcuni momenti della Via Crucis e vi ricordo, inoltre, che tutti voi potete inviarci le vostre foto all’indirizzo e-mail info@ragusaoggi.it.

 

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