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L’AVARO DI MOLIERE
21 Dic 2014 11:22
Lorenzo Masala
Liceo Scientifico “A. Pacinotti”_Cagliari_
classe 1^B
Arturo Cirillo ha saputo rivisitare l’opera , mettendo in evidenza i risvolti comici, ma facendo anche riflettere su alcuni problemi ancora presenti nella nostra società attuale.
Nella rappresentazione assume risalto non solo l’inevitabile lato teatrale, ma anche quello artistico, come si può notare dalla scenografia e dai costumi: la prima, ideata da Dario Gessati, suscita sensazioni di stupore, ma anche di mistero, infatti ognuno può interpretarla a modo suo: …un corridoio senza fine, infinito come l’avarizia di Arpagone; oppure può sembrar ispirata a famosi quadri di celebri pittori.
I costumi, questi ideati da Gianluca Falaschi , tutti sfarzosi, come quelli di Cleante ed Elisa, figli di Arpagone, sono ispirati alla tecnica del bicolore di Rothko; sono colorati in una tonalità più scura nella parte più bassa, come per donare pesantezza ai personaggi stessi. L’unico a non possedere un costume prezioso è il protagonista, sempre vestito con abiti scuri. I personaggi sono tanti, tutti diversi tra loro, ma allo stesso tempo tutti tesi verso un oggetto del desiderio: chi desidera la donna dei propri sogni, come Cleante e Valerio (interpretati da Michelangelo Dalisi e Giulio Sattarelli), che desiderano aver la mano di Mariana ed Elisa, sorella di Cleante. Altri vogliono solo denaro, oppure lo custodiscono in segreto, come Arpagone.
L’Avaro di Molière
E’ nero. Assorbe colori, amore, giovinezza. E’ un amore troppo grande che lo isola, lo rende vivo, gli impedisce di amare qualcun altro. Un amore frivolo, inquietante al tempo stesso. I sentimenti non hanno più nessun valore. Il possedere e l’avere, non l’essere. Il denaro è ciò che lo rende vivo. E’ il suo figlio prediletto.
Arpagone è vecchio, vecchissimo. Troppo vecchio per poter capire che quel morbo che lo allontana dai suoi affetti, dalla sua famiglia è l’avarizia. L’avarizia, il sentimento che rappresenta il tema dominante nell’opera.
” L’ Avaro ” di Molière, messo in scena dal regista Arturo Cirillo al Teatro Massimo di Cagliari, rappresenta pienamente questo concetto. Il ”vecchio avaro”, Arpagone, è disposto a tutto pur di colmare il suo irrefrenabile amore per il denaro e per la sua cassetta. Una cassetta per la quale sottrae e rapina la giovinezza ai suoi figli, Elisa (interpretata da Antonella Romano) e Cleante (interpretato da Michelangelo Dalisi). La scenografia rispecchia l’animo dell’avaro. Cinque quadri la rappresentano, come per dare l’idea di un lungo corridoio di cui è impossibile vedere la fine. I costumi, ispirati al pittore contemporaneo Rothko, danno ai personaggi una maggiore pesantezza. Il loro colore è sfumato, come se il nero dell’animo di Arpagone avesse assorbito pure questo. Dispute, amori intrecciati, tradimenti ed ingiurie. L’unico amore autentico è quello fra l’avaro e la sua cassetta. Il regista, nonché interprete di Arpagone, definisce la commedia ”contemporanea perché dà più valore all’avere che all’essere. Si brama al potere e al denaro”. Chiaro è il riferimento a noi e all’epoca in cui viviamo. Perché in fondo ciascuno di noi ha un po’ di Arpagone nel proprio animo.
Liceo Scientifico A. Pacinotti – II B
Carolina Congia
“L’AVARO”
Lucia Porcedda – 1B Liceo scientifico Pacinotti
Un carillon malinconico.
Una amore curvo e malato per una cassetta.
Arpagone, l’avaro interpretato da Arturo Cirillo nelle vesti anche di regista, torna in scena dopo secoli dalla sua prima apparizione. Ruba la giovinezza e la spensieratezza a chi lo circonda come il nero dei suoi abiti ruba la luce.
Il Teatro Stabile di Napoli e delle Marche porta con successo sul palcoscenico un classico che non è mai stato cosi contemporaneo, accompagnato dalle dissonanze delle musiche di Francesco de Melis.
Una commedia esilarante ma anche amara, con una cupezza di base onnipresente.
Intrighi, alleanze, inganni e finzioni prendono vita grazie al desiderio di libertà di Cleante (Michelangelo Dalisi) e Elisa (Monica Piseddu) che, nonostante il geloso padre, credono ancora nell’amore:
puro quello di Mariana (Antonella Romano), incondizionato quello di Valerio(Luciano Saltarelli).
E nel caos, nello sgretolamento dell’equilibrio della casa, è un attimo il bacio tra Cleante e Mariana.
Recensione di Marco Magno
l’Avaro” di Moliere
Si deve ad Arturo Cirillo la moderna rilettura di uno dei capolavori della storia del teatro, L’Avaro che, scritto nel 1668 da Molière, si ispira alla “Aulularia” di Plauto.
Arturo Cirillo – regista -, uno dei più promettenti sulla
scena nazionale, decide di portare alla luce con la compagnia
del “Teatro Stabile di Napoli” e del “Teatro Stabile delle
Marche”, e grazie alla traduzione di Cesare Garboli, il lato noir della commedia molieriana
Pareti spoglie di un corridoio profondo, indefinito, che
assorbe luce, che assorbe vita. Il Vecchio, vecchissimo e
avaro, Arpagone, nero come il corridoio, curvo su se stesso a
proteggere l’unica cosa a cui dà e da cui non prende, bianca e
candida, sua figlia, la cassetta. Come il nero assorbe la
linfa vitale dei figli, Cleante ed Elisa. Ma qualcosa sta per
cambiare perché l’amore ha aperto anche i loro cuori.
Mariana con i suoi modi gentili ha conquistato il cuore di
Cleante e fatto breccia in quello di Arpagone, che organizza
un matrimonio con la giovane paesana e, pensando alla dote,
decide di far sposare il figlio con una ricca vedova e la
figlia con un vecchio signore. A sua volta però Elisa è
innamorata di Valerio, che le ha salvato la vita e che decide di
diventare valletto di Arpagone per entrare nelle sue grazie.
Prospettive distorte. Figure maschili interpretate da attrici.
Storie che s’intrecciano e passati che riaffiorano. Un furto.
Il corridoio si sfalda.
L’Arpagone del ‘600 riesce ancora oggi a toccare le emozioni
di chi lo guarda, in lui riconosciamo tutta l’attualità del
vizio.
In questo spettacolo Cirillo ha fatto il “suo Molière”, caratterizzandolo con costumi futuristici, mimica, recitazione, coreografia, soluzioni sceniche originali e un finale di grande effetto.
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