LAMPEDUSA, LA TERRA PROMESSA

Lampedusa isola dai due volti: la lucentezza dei paesaggi riflessa negli occhi dei loro abitanti sempre pronti ad accoglierti e il grigiore del discusso Cie di contrada Imbriacola. Lungo la strada che conduce al centro identificazione ed espulsione, vi sono numerosi mezzi delle forze dell’ordine. Il centro si trova in fondo ad un avvallamento stretto oltre il quale non c’è più niente se non il mare. Arrivando si ha la sensazione di essere ai confini del mondo. Superato il cancello c’è tanta confusione, un gran via vai di uomini, soldati, suoni e lingue a noi incomprensibili, ci guardano tutti. Cerchiamo un posto all’ombra vicino al muro di cinta. Qui troviamo Ahmed insieme ad un gruppo di connazionali  seduti sotto una tettoia in uno spazio delimitato dal nastro bianco e rosso controllati a vista da poliziotti che impediscono loro di spostarsi. Ahmed  ci racconta il suo viaggio.
I suoi occhi stanchi  diventano subito lucidi. Ahmed  crede di trovare qui un mondo decisamente diverso da quello che ha scelto di lasciarsi alle spalle. Crede nelle condizioni di vita migliori, in un’esistenza più decorosa e meno stentata. Ha aspettative, sogni, speranze e, come tutti, vorrebbe vederli realizzati. A guidare il suo cuore è l’auspicio che le brutture vissute finché era nel proprio Paese d’origine non tornino più ad angosciarlo; che la fame e la miseria  per sopravvivere siano, d’ora innanzi, solo ricordi. Non facili da cancellare, ma perlomeno lontani dal presente e dal futuro. Ahmed, laureato in medicina, ha pagato caro queste speranze lasciando la sua famiglia e i suoi affetti mettendo la sua vita nelle mani dei “cani del mare” come lui stesso li definisce. I “cani del mare” altro non sono che gli scafisti, uomini che vivono grazie ad un mestiere illegale ma che frutta loro tantissimo. Questi trafficanti di schiavi hanno il compito di organizzare il viaggio ai clandestini. Sono in stretto contatto con i capitani di barche e gommoni; hanno conoscenze in ogni dove e chiedono in cambio somme ingenti di denaro  per ciascun essere umano da imbarcare. Il resto lo lasciano fare al destino; se il soggetto dovesse morire durante o dopo il lungo viaggio in mare, poco importa. Il loro compito finisce con l’incasso dei soldi.
Lasciamo Ahmed e le sue speranze con un abbraccio che ci lascia l’amaro in bocca. Entriamo dentro.

La struttura è costituita da 3 prefabbricati che ospitano stanze e bagni. L’intera area a sua volta è suddivisa in due da una cancellata chiusa, su cui si ammassano decine di uomini. Gli operatori saputo della nostra visita ripuliscono freneticamente gli ambienti, i poliziotti sono davvero tanti, c’è tensione.  Ad accompagnarci è un giovane operatore: notiamo le stanze e i corridoi raffazzonati alla buona. Nelle camere le mattonelle divelte danno il senso della rabbia dei migranti. L’odore all’interno è fortissimo segno di scarsa igiene generale. I bagni sono solo all’aperto: 10 docce, 40 lavandini, 40 “turche”, quelli in camera non sono funzionanti. Tutto è fatiscente, nulla è a norma, nulla è sicuro, nulla è dignitoso. Oltre 1300 ospiti (secondo gli elenchi del personale) a fronte di una capienza massima di 800 posti. Usciamo dal centro e ci dirigiamo al porticciolo di Cala Pisana dove è ormeggiato un traghetto Tirrenia in attesa di un gruppo di tunisini presenti al Centro.

Dopo poco arrivano trasportati con gli autobus dell’ente gestore dei centri. Vengono fatti scendere pochi alla volta, messi in fila, fatti avanzare a gruppi di 7-8 di fronte ai poliziotti e perquisiti. Infine vengono fatti sedere nella penombra, in attesa di poter salire sul traghetto per andare chissà dove: in Sicilia, in Puglia, in Toscana, in Tunisia…Si tratta di una deportazione, così l’abbiamo vissuta da qui.

Uomini perquisiti sotto la luce abbagliante di riflettori, privati di cinture, stringhe, scarpe, dignità. Poi spostati in un angolo buio del porto, scomparsi, ingoiati nel nulla.

Mi domando cosa possono provare a riprendere il mare da cui sono scampati? A nessuno sembra importare; vengono trattati come delinquenti, come detenuti, tutti. Perché tutti lo sono: resi tali dalla “Turco-Napolitano” ieri, dalla “Bossi-Fini” oggi, dal nostro sistema che continua a ritenere i migranti solo un problema e mai una ricchezza, vita, umanità.

Ritorniamo al centro a riprendere gli zaini e completare gli ultimi adempimenti legati alla sicurezza.. Prima di varcare per l’ultima volta il cancello d’uscita del centro un fischio richiama la nostra attenzione: è Ahmed, mi viene incontro e gli occhi che prima erano gonfi di lacrime adesso lasciano trasparire quasi felicità e a mani giunte ci ringrazia per averlo ascoltato.

Ci lasciamo alle spalle centinaia di storie accomunate da un’unica speranza: la libertà. Ci separiamo da Lampedusa con le braccia larghe e col cuore inquieto ma anche con grande senso di impotenza. Quest’isola poco prima di partire e ritornare a casa ci regala un alba bellissima. Che sia un alba di rinascita. Per tutti.

 

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