LA VALLE DEI MULINI AD ACQUA

Oggi è venuto un gruppetto di “quelli che amano la natura”, di quelli che sono contro la cementificazione. Quanto parlano! Parlano, parlano e dimenticano che vivono in case di cemento e che, anche per andare a comprare le sigarette sotto casa, prendono l’automobile. Ogni tanto vengono. Dicono: che bello stare in mezzo alla natura! Stanno mezz’ora, un’ora al massimo e non tornano più.

Anche quel Sindaco e tutto il suo codazzo che venivano per restituire la vallata ai cittadini. Quando mai la vallata era stata loro?! Quanto parlavano! Ma fatti, niente. Hanno pavimentato, coi soldi dei cittadini, la mulattiera, circondato il mulino ad acqua diroccato con una fune sorretta da pilastrini, non di ferro, per carità, ma di legno: per rispettare la natura. E la natura, in meno di un anno, ha sbracato paletti e fune e ha invaso la pavimentazione della mulattiera! Hanno fatto un po’ di fuoco di paglia e poi nulla. I cittadini non sono venuti. Per fare cosa poi?! 

Noi che siamo i patruna ro luocu, gli spiriti della valle, siamo qui da sempre e sappiamo della vita della vallata, dei rovi e di tutte le erbe forti e parassite (le erbacce, le chiamano gli umani) e sappiamo dei vermi, delle serpi e di tutti gli altri animali che, per secoli e secoli, hanno vivificato e vivificano la cava. Conosciamo la lotta aperta, leale, spietata, incessante, che questi organismi ingaggiano tra di loro per la sopravvivenza. Assistiamo ai loro amori totali, alle loro congiunzioni passionali. Vediamo alleanze, simbiosi e capacità di trarre profitto dalla morte degli altri. Mors tua vita mea, per loro, non è filosofia, è vita! Le loro voci non sono chiacchiere ma importanti espressioni di vita. Insomma ci stiamo bene con questi organismi che difendono, con le unghie e con i denti, la loro sopravvivenza. Vivono ovvero nascono e muoiono, godono e soffrono, amano e odiano, esplodono e implodono. Da milioni di anni!

Niente a che vedere con queste bocche aperte coi culi piatti per il tanto stare seduti su sedie di petrolio, senza unghie e senza denti, capaci solo di cicalare.

Di ben altra pasta sono stati gli uomini e le donne che hanno, per poco (per poco? per un istante!), abitato questa vallata. Ingaggiarono una lotta terribile e spietata contro gli organismi da sempre dominanti e vinsero ma a costo di pesante e incessante fatica. Non fu battaglia definitiva che ogni giorno erano costretti a lottare contro i vecchi organismi mai totalmente sconfitti e a faticare per sopravvivere.

Ce li ricordiamo u massa Vanni e a gna Pippina, i mulinari. Costruirono il mulino con le loro mani (era il 1831, c’è ancora la lapide con scritta la data) e andavano avanti e indietro a trasportare frumento, farina e canigghia, a dorso degli asini e dei muli che i carretti non potevano accedere.

Ci ricordiamo anche degli ortolani sempre con la zappa in mano e la schiena curva a sradicare le erbacce e a piantare e coltivare cavoli, lattughe ed altre erbe mai viste. E dei pirriaturi che hanno con le mani nude e coi picconi e coi cunei sventrato la montagna: da questa valle sono uscite le pietre per costruire Ragusa. 

Nel giro di poco tempo la vallata cambiò aspetto. Radicalmente. Una cosa mai vista. Dicevano che era un giardino. Restammo sbigottiti. Ci adattammo al nuovo andazzo. Meno vivace, meno passionale ma aveva pur esso un suo fascino e quelle grattatine alla schiena che ci procuravano le zappe, l’aratro e gli zoccoli dei muli, stavano diventando una piacevole abitudine.

Abbiamo visto gli amori di massa Vanni e da gna Pippina. Passionali, delicati, teneri. Come gli amori di tutti gli altri animali. Fedeli, per tutta la vita. Avevano oltre sessant’anni quando li abbiamo visti fare l’amore per l’ultima volta, con la stessa intensità di sempre, con meno ardore ma con più tenerezza. Poi morirono, quasi assieme. Restò Turidu, il figlio grande. Cicciu, l’altro figlio, costruì il mulino più sotto. Appresso c’erano gli altri mulini. Ben sei in tutta la vallata. Rosa e Maria, le figlie femmine, si sposarono con dei massari che venivano a macinare il grano e andarono via. Anche Turidu e Cicciu ebbero figli mulinari e gli ultimi due, Vannuzzu e Ginu, lasciarono i mulini ad acqua e andarono a lavorare nei mulini meccanici.

Anche nella lotta tra gli uomini ci sono vincitori e vinti e quelli della valle che macinavano con l’energia muscolare e idrica hanno perso contro quelli che utilizzavano il petrolio e le macchine e da padroni diventarono dipendenti. Vannuzzu dai Curiali: Mulino e Pastificio (che la pasta non si fece più in casa) Santa Lucia e Ginu dagli Scarso: Mulino e Pastificio San Giovanni.

Come hanno fatto a perdere se utilizzavano l’acqua che non costava niente e quelli il petrolio che invece costava?! Ma?! Mistero!

Fatto sta che i mulini furono abbandonati, l’acqua se la prese quell’altra fabbrica che trasformava il petrolio in plastica e nella valle non si videro più né uomini né asini né muli. Gli ortolani cessarono di coltivare ortaggi. Andarono a lavorare nelle fabbriche e nelle officine. Dice che facevano meno fatica e guadagnavano di più. Ma spendevano anche di più e il conto, alla fine, era sempre pari! I figli continuarono i nuovi mestieri e andarono a scuola e diventarono impiegati e così, invece di rivoltare la terra, si misero a rivoltare scartoffie. Dice che è meno faticoso. Sarà, ma la vita dov’è?! Il rapporto con la madre terra che riceve e dà, dov’è?! L’interscambio con gli altri esseri viventi, piante e animali, dov’è?!  Il contatto con la materia – acqua, farina, latte, ecc. – che dà sostentamento, dov’è?! Se l’uomo è, come è, relazione, l’assenza di queste relazioni che influenza avrà nella vita delle future generazioni?

Ci è giunta notizia che anche i Curiali e gli Scarso hanno perso contro altri con macchine più potenti delle loro, hanno chiuso i loro mulini e i discendenti dei mulinari sono ora senza lavoro. Degli ortolani s’è persa ogni traccia e anche la parola è in disuso che oramai l’insalata arriva non si sa da dove, dentro sacchetti di plastica e già lavata.

Nella vallata i vecchi organismi hanno ripreso possesso e la loro vita millenaria. I quattro muri costruiti, sono crollati. Noi abbiamo ripreso il vecchio andazzo e commiseriamo questi ridicoli amanti della natura, armati di orologi, macchine fotografiche, telefonini e cianfrusaglie varie, che aprono la bocca per lamentarsi del petrolio, della plastica, del cemento e di questo e di quello e per dire: come era bello una volta. Che venissero qua a lottare, con le unghie e con i denti, per la loro sopravvivenza come hanno fatto i loro antenati e come fanno tutti gli organismi della natura. Possibile che con tutte le diavolerie che hanno inventato non abbiano trovato qualcosa che renda il lavoro dei mulini e della valle meno faticoso? Questa valle è ricca e generosa e può dare loro da vivere più e meglio dei quattro soldi degli stupidi lavori che fanno: commesso, posteggiatore, cameriere, cassiere. . .puah! Possibile che non se ne rendano conto?  O che almeno stessero zitti.

Articolo pubblicato sul n. 59/2010 “Pane” della rivista ondine www.operaincerta.it

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