LA SCUOLA: UN BRUTTO PASTICCIO!

 

Tutte le volte che sento parlare o leggo di scuola come anche nel dibattito apertosi, in questi giorni, con la lettera del genitore che ha rifiutato di far fare al figlio i compiti delle vacanze e quella del preside ai genitori che solleva “con toni garbati un tema serissimo: quello del rapporto sempre più conflittuale tra scuola e genitori”, tutte le volte sento che la scuola persegue, o deve o dovrebbe, perseguire almeno le quattro finalità che appresso elenco.

Preparare e selezionare all’esercizio delle professioni, delle arti e dei mestieri, anche dei mestieri considerato che, a partire dalla riforma della scuola media del 1962, da tale funzione sono stati espropriati i genitori.

Fungere da ascensore sociale.

Formazione culturale. A partire e sulla base di quanto nel corso dei millenni il pensiero umano ha elaborato e prodotto, fornire ai giovani (tutti, sia quelli che diventeranno dottori, avvocati, ingegneri, professori… sia quelli che diventeranno infermieri, idraulici, contadini, autisti…) riferimenti e strumenti culturali con cui valutare e affrontare con sempre maggiore consapevolezza quanto avviene nella natura e nella società.

Educare all’emotività, a conoscere e riconoscere le proprie emozioni e ad agire con consapevolezza senza subirle e senza farsi trascinare.

Credo anch’io che la scuola dovrebbe perseguire queste quattro finalità proprio perché sono fondamentali per la vita della società.

Guardo poi il modo di fare scuola da parte di tutti, insegnanti più o meno bravi, e in tutte le discipline e vedo che il modo è uno ed uno solo, quello ereditato dalla scuola di Gentile: spiegazione, interrogazione e voto. Non solo, ma se c’è una cosa che è prescrittiva per legge e da cui nessun insegnante può sottrarsi, è proprio quella di mettere il voto. E il voto è un numero, una misura con le sue regole rigide che richiedono oggettività, separazione e distacco tra il misuratore e l’oggetto da misurare. Non per caso si va affermando sempre più lo strumento dei quiz.  

Allora mi domando e domando: si possono perseguire le quattro finalità su esposte con questo unico modo? Questo modo è certamente efficace per la funzione della selezione. Già per la funzione di ascensore sociale è necessario ma non sufficiente in quanto andrebbe accompagnato da antidoti tali da consentire al figlio dell’operaio di compensare quell’humus che il figlio del professionista assorbe in famiglia fin dalla nascita e che lo avvantaggia. Ma per la formazione culturale che sappiamo avviene con modi e tempi diversi da una persona all’altra e che matura per sedimentazioni successive ha senso interrogare e misurare? Non parliamo poi dell’educazione emotiva dove voto e misura sono come i cavoli a merenda!

La mia opinione è che gran parte dello sfascio, da tanti e spesso denunciato, dell’attuale scuola dipenda dalla mancanza di chiara precisazione delle finalità e dei mezzi adeguati adottati per ciascuna di esse. Nella istituzione (corpo delle normative che la regolano), nella gestione e nell’immaginario collettivo (aspettative delle famiglie) la scuola sembra voler perseguire tutte e quattro le finalità (selettiva, di ascensore sociale, culturale e di educazione emotiva) sopra richiamate senza tuttavia adottare i mezzi adeguati a ciascuna finalità. Da ciò il pasticcio, il brutto pasticcio! Pasticcio reso ancora più impasticciato dal fatto che la scuola pur misurando, nella prassi, per motivi di organico e altro, non seleziona. E selezione, forte e netta, invece andrebbe fatta per il bene dei giovani e della società che necessita di operatori competenti e appassionati del loro lavoro.

Chiudo con una provocazione. Nella canzone Contessa, inno e simbolo del sessantotto, Paolo Pietrangeli lancia la provocazione che anche l’operaio vuole il figlio dottore. Oggi dico, provocando, ma non tanto, che anche l’operaio possa parlare di cultura, di poesia, di arte, di filosofia, di storia, di letteratura, di cinema, di teatro… al pari col professionista. Ovvero che la scuola fornisca a tutti i giovani sia che diventeranno operai o professionisti, lo stesso percorso formativo su cultura, poesia, arte, filosofia, storia, letteratura, cinema, teatro. . . ed emotività. E magari all’interno della stessa classe ovvero che i giovani frequentino classi differenti nel percorso verso le professioni, le arti e i mestieri e la medesima classe nei percorsi verso le altre finalità.

Ragusa, 10 aprile 2014 ritoccato in data 17 settembre 2016

                                                                                          Ciccio Schembari

Articolo pubblicato sul n. 104/2014 “Casino” della rivista ondine www.operaincerta.it

 

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