LA SCUOLA IN CARCERE

La scuola intesa come speranza non nasce da una visione del mondo rassicurante e ottimista, bensì da un’insopprimibile necessità di riscatto. Penso che lo studio in carcere debba essere un vincolo trainante in futuro, aprire la mente, il cuore e l’animo verso un percorso che basandosi sui dettami costituzionali deve tendere al reinserimento e alla rieducazione. La scuola deve assolvere al ruolo di ponte che colleghi in maniera positica l’ignoranza innata dell’essere umano e la cultura. “Nati non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza”. Il verso di Dante Alighieri ben si addice a chi si avvicina allo studio in carcere: fare ammenda dei propri errori è sintomo di intelligenza; la scuola in carcere serve a ciò: leggere, scrivere, confrontarsi con altri, aprirsi a nuove esperienze. I miei ricordi fanciulleschi mi portano al suono di una campanella con cui si indicava l’inizio e la fine delle lezioni. Oggi il tintinnio dello sbattere delle sbarre non produce il medesimo effetto ma paradossalmente mi aiuta lo stesso a sentirmi parte integrante di un sistema che a priori respingo, ma che forse mi rende libero dentro. Gandhi diceva “Sei tu il cambiamento che desideri volere nel mondo”…. Ecco, io studiando, cerco di sentirmi parte del cambiamento che deve avvenire nelle carceri italiane e la scuola in carcere fa da collante fra il vecchiume che esisteva e la volontà illimitata del nostro futuro di uomini reclusi, ma liberi di mente, cuore e animo! 

 

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