LA POESIA DI PEPPINO BURGIO: UN AFFRESCO DI UN MONDO CHE NON C’E’ PIU’

Tante autorità (gli on.li Minardo, Gurrieri, Leontini, il Presidente della provincia Antoci e tanti consiglieri provinciali e comunali) ma soprattutto tanti estimatori del “poeta contadino” come ama definirsi, nella kermesse per la presentazione del terzo libro di poesie in dialetto siciliano. E poi una regia davvero articolata bene con la presentazione di una Stefania Garrone sempre insuperabile a fronte a tante new entry che non sanno nemmeno parlare correttamente, alle voci narranti che avranno fatto tante fatiche (perché giovanissimi) ad imparare la lingua siciliana, alle luci, ai filmati, alla semplice ma efficace coreografia con i tre “moschettieri” della cultura iblea  sul palco compreso Mimì Arezzo che di questi eventi è un vero maestro.

Subito lo start con una bellissima poesia si Burgio che ha fatto immergere il pubblico nel clima “burgiano” di una poesia che è anche la storia del sud, della sofferenza, della fame a volte, ma della dignità a tutti i livelli, del riscatto del mondo contadino rispetto alla “civiltà della città”, al fronteggiarsi di valori che via via si son perduti per andare in una strada senza meta e senza punti di riferimento. Questo ritorno al passato Burgio ce l’ha nel sangue ed è ovvio che ogni suo verso lo rievochi in maniera forte ed a volte dolorosa. Un Peppino Burgio davvero impetuoso ma efficace nel descrive con grande maestria scenari di cinquant’anni fa che sono anche un vero spaccato in cui “leggere” la nostra civiltà contadina ormai quasi del tutto superata. Crediamo che la sua poesia diventerà fra una generazione un motivo di ricerca storico-antropologica per la descrizione minuziosa ed aulica che egli fa di un mondo che non ci sarà più nemmeno nei ricordi. (f.p.)

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