LA NUOVA SCHIAVITU’

Da sempre nei Paesi a economie deboli, dove la povertà rappresenta il co¬mune denominatore della gran parte della popolazione, milioni di bambini lavorano. 

Accanto a bambini sfruttati e lasciati a se stessi, che rappresentano la mag¬gioranza, esistono gruppi di bambini/e e adolescenti lavoratori non isolati ma uniti in movimenti che fanno della rivendicazione dei propri diritti, dell’organiz¬zazione collettiva, della solidarietà e della consapevolezza il loro punto di forza. I NAT’s (acronimo di Niños y adolescentes trabajadores – bambini e adolescenti lavoratori) sono sorti in America latina verso la fine degli anni ’70 , seguiti alcu¬ni anni dopo anche in Asia e in Africa. 

Scopo dei movimenti dei bambini/e e adolescenti lavoratori è il riconosci¬mento, attraverso la valorizzazione critica del lavoro infantile, del diritto al miglioramento delle proprie condizioni generali di vita. 

Obiettivo più generale dei movimenti è quello di testimoniare la validità di un differente modello di infanzia, il riconoscimento di un ruolo storico diverso dei bambini/e e degli adolescenti lavoratori.

         Quotidianamente si constata la dimensione del bambino lavoratore su una schizofreni¬ca barbarità visto che il bambino non è un vero lavoratore e nemmeno come lavoratore non è un vero bambino. Per preservare la purezza ideologica di un’astratta, classista e etnocentrica condizione infantile rubiamo al bambino lavoratore la sua identità di lavoratore e allo stesso tempo la sua identità di bambino. 

Così non gli rimane niente, si dissolve in uno spazio vuoto di senso e di identità. Però l’infanzia e il lavoro non sono concetti astratti. 

Sono fenomeni che si realizzano in uno spazio storico concreto, che si presentano in forme proprie di articolazione. 

Ora nel nostro contesto storico i bambini lavoratori esistono, esiste il lavoro minorile. Riconoscerlo, riconoscere i loro problemi e allo stesso tempo le loro potenzialità, assumerli in termini di discorso non solo accusatorio ma anche propositivo, rappresenta sicuramente il primo passo per resti¬tuire a questi bambini la loro identità reale, un’identità che non è solo individuale ma anche collettiva, sociale e politica; è il primo passo per restituire a questi bambini il diritto a un ruolo, a una funzione, a un diritto all’organizzazione, alla lotta, a un’integrazione attiva e creativa con il movimento popolare.

Pretendere di dire che i bambini delle culture ancestrali lavorano perché sono poveri, significa ignorare il patrimonio di queste culture millenarie; i bambini lavorano perché in primo luogo sono considerati perso¬ne e il lavoro è considerato un diritto come per qualsiasi altro membro della comunità come se fossero adulti e vanno trattato peggio di un adulto. È la miseria che costringe i bambini/e a lavorare, ma l’esistenza del lavoro minorile sarebbe una delle cause principali della povertà di molti Paesi, tanto che si pensa che non si possono migliorare le condizioni di un paese se prima non si elimina il lavoro minorile. Pretendere di sradicare il lavoro dei bambini delle zone rurali come lo programmano molti organismi internazionali, significa attentare contro le culture originarie, significa attaccare il cuore stesso delle culture ancestrali, la loro relazione sacra con la Terra.

 

 

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