LA LOTTA ALL’EVASIONE FISCALE

Il prelievo fiscale, nella Costituzione, trova il suo fondamento nell’articolo 2, in base al quale l’appartenenza alla comunità statale impone ad ogni cittadino “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, nell’articolo 23, secondo cui l’imposizione tributaria compete solamente agli organi titolari, per legge, del potere impositivo, nell’articolo 53, per il quale “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.

Il pagamento delle tasse e delle imposte è quindi un dovere che compete a tutti i cittadini. Questo dovere, purtroppo, in Italia è stato per troppo tempo e da troppe persone ampiamente disatteso, per cui di fronte a tanti cittadini che hanno correttamente contribuito alla vita della società ce ne sono stati tanti che hanno ampiamente goduto dei privilegi dovuti all’evasione dei doveri fiscali.

La storia della lotta all’evasione fiscale dura da oltre quarant’anni e ha inizio, negli anni ’70, con l’istituzione dell’anagrafe tributaria ad opera dei ministri del tempo Preti e Visentini.

Il sistema doveva permettere l’elaborazione automatica dei dati che all’epoca erano processati senza l’ausilio di strumenti informatici dagli uffici delle Imposte Dirette, dell’IVA e del Registro. L’elemento chiave del sistema era la banca dati dell’Anagrafe Tributaria basata sul rilascio dei codici fiscali e delle partite IVA ai cittadini ed alle imprese (codici univoci che costituiscono tuttora le chiavi di accesso dell’archivio anagrafico dei contribuenti). Vennero anche definiti i primi meccanismi di controllo automatico delle dichiarazioni dei redditi e di elaborazione ed incrocio dei dati di natura fiscale, ai fini di potenziare l’attività di contrasto all’evasione fiscale.

Questo sistema, che costituiva senza dubbio un grosso passo avanti nella gestione del fisco, aveva un grande limite perché consentiva il controllo degli atti compiuti dai cittadini ma non consentiva, in via ordinaria, l’incrocio dei dati in possesso dell’anagrafe tributaria con i dati relativi alle attività economiche svolte dai cittadini. E ciò non per limiti tecnici ma per mancanza della volontà politica di modificare in tal senso la legislazione.

Il risultato di tale situazione è stato finora che il fisco si è sempre accanito in modo inflessibile nei confronti dei cittadini che hanno cercato o dovuto fare il loro dovere, e qualche volta hanno anche sbagliato in buona fede, ma non ha mai potuto colpire gli evasori che hanno potuto agevolmente nascondere le loro attività (in primo luogo per la protezione ottenuta con il segreto bancario).

Per la prima volta ora, con il “decreto salva Italia”, il governo Monti ha messo mano all’arma letale all’evasione fiscale: dal 1° gennaio 2012 non esisterà più, per il fisco, il segreto bancario e l’erario potrà incrociare i dati in suo possesso con tutte le operazioni bancarie superiori a mille euro, con i dati dei conti correnti e dei titoli posseduti dai cittadini. La stessa operazione potrà essere fatta anche con le banche dati del Catasto, del Demanio, della Motorizzazione, dell’Inps, dell’Inail, delle Dogane, dell’Ufficio del Registro. Nei fatti, chi ha presentato dichiarazioni non proporzionate alla propria situazione economica non potrà più nascondere soldi, immobili, automobili o altri beni di lusso e sarà immediatamente individuato. Anche chi gode di prestazioni previdenziali ottenute simulando la propria situazione economica e con false attestazioni ISEE sarà presto smascherato.

Quella che potrebbe essere una misura veramente rivoluzionaria non è stata  valutata per la sua importanza effettiva; forse perché le dichiarazioni ad effetto sulla lotta all’evasione, negli anni passati, si sono sprecate e non sono mai state seguite da fatti risolutivi. Possiamo solo augurarci che alle parole seguano i fatti e che i governi che verranno non si affrettino a mettere nel nulla le disposizioni della riforma.

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