LA LIPIDOMICA: UNA SCIENZA IN ESPANSIONE?

Per capire cos’è la dieta lipidomica bisogna prima conoscere la scienza lipidomica, che in Italia è comparsa per la prima volta nel 2005 in un centro di ricerche (CNR) di Bologna. Si tratta di una scienza che si occupa dello studio dei grassi o lipidi presenti nel nostro corpo in modo dinamico. I lipidi, cioè, vengono studiati in modo estremamente approfondito (strutture, funzioni, ruolo nei processi metabolici etc).

La lipidomica applicata alla membrana cellulare, inoltre, permette di studiare il funzionamento e i rapporti fra i vari tipi di lipidi. Costituita prevalentemente da grassi e da piccole quote di proteine e colesterolo, la membrana rappresenta, infatti, una barriera preziosa per la salute di ogni cellula, regolando ingresso e uscita di molecole e fungendo quindi da “filtro” contro potenziali pericoli. Per lavorare bene, però, la membrana richiede una retribuzione specifica, sotto forma di lipidi!

Da quanto detto, ne consegue che i grassi presenti nella membrana cellulare possono rivelare importanti informazioni sul nostro benessere. Questo ambito di ricerca si sta perfezionando negli ultimi anni, e potrebbe rivelarsi particolarmente utile per una miglior comprensione delle patologie connesse con i lipidi, come obesità, sindrome metabolica, dislipidemie, disfunzioni cardio-circolatorie, etc. Ecco perché la lipidomica si basa sui lipidi presenti in membrana piuttosto che sull’ordinaria analisi dei grassi dosati nel sangue.

È stato ideato, infatti, un vero e proprio esame lipidomico, chiamato “fat profile”, che si effettua sulle membrane dei globuli rossi attraverso un semplice prelievo del sangue. Grazie al fat profile, è possibile ottenere precise informazioni sull’apporto di grassi nella dieta, rivelando stile di vita e predisposizioni genetiche dell’individuo, e monitorarne così lo stato di salute generale. L’analisi lipidomica, quindi, va oltre la sola determinazione quali-quantitativa, e offre una visione dinamica legata a pathways sia fisiologici che patologici.

Un piccolo limite del fat profile è che si tratta di un esame ancora non molto diffuso, essendo davvero poche le strutture che lo propongono in Italia. Il costo si aggira intorno ai 160 euro.

Una volta eseguito il test, lo step seguente è quello di delineare una dieta lipidomica personalizzata in base al profilo lipidico della persona. Lo scopo di tale dieta è quello di riequilibrare i grassi presenti nell’organismo, e non di eliminarli, in quanto essi sono indispensabili per numerosissime funzioni endogene.

Uno dei principi di questo regime dietetico prevede di variare l’assunzione quotidiana dei lipidi, rispettando le seguenti proporzioni (che altro non sono che le raccomandazioni generali): 25% di acidi grassi saturi, 50% di monoinsaturi, 25% di polinsaturi. Gli alimenti protagonisti saranno, quindi, olio extra vergine di oliva, frutta secca e semi oleosi crudi (noci, mandorle, girasole, nocciole, lino, zucca), alcune varietà di alghe, ma anche alimenti di origine animale ricchi di grassi “buoni”, in primis uova, carni e latticini provenienti da animali allevati liberamente, per garantire un maggior apporto dei suddetti nutrienti. Non sono ammessi, ovviamente, tutti i prodotti trasformati, confezionati e industriali, mentre sono da moderare i formaggi più grassi, le carni rosse e il burro.

Per quanto innovativa e degna di nota, questa scienza non fa che ribadire il ruolo indispensabile dei lipidi per il nostro organismo. Sappiamo già che esistono diverse famiglie di grassi, alcuni dei quali possono essere formati endogenamente, mentre altri devono essere assunti con l’alimentazione (acidi grassi essenziali o AGE). Per questo motivo, è realmente importante che i grassi che si introducono con i cibi siano di alta qualità.

Sarò monotona, ma voglio ricordare che sono sempre più numerosi gli studi scientifici che indagano le proprietà protettive e benefiche degli alimenti ad alto contenuto lipidico (olio extra vergine d’oliva, frutta secca a guscio, alghe alimentari, uova, pesce azzurro, etc).

L’importante è variare l’assunzione quotidiana di questi alimenti, così da rispettare le corrette proporzioni: il 25% di acidi grassi saturi previsto, quindi, potrà provenire da formaggio, burro e insaccati; il 50% di monoinsaturi dall’olio di oliva e da alcuni tipi di frutta secca come le mandorle; il 25% di polinsaturi (alias omega-3 e omega-6) soprattutto dal pesce azzurro, ma anche da alcuni tipi di alghe, dall’olio di lino e dalle noci.

Di seguito, riporto il decalogo che l’Aigo (Associazione Italiana Gastroenterologi e Endoscopisti Digestivi Ospedalieri) ha stilato per promuovere l’utilizzo dei lipidi nella dieta:

1) Utilizzare olio extra vergine di oliva; 2) Arricchire la dieta con noci, nocciole, e mandorle; 3) Insaporire le insalate con semi di girasole, lino, zucca; 4) Imparare a usare nelle nostre ricette, come fanno le popolazioni dell’estremo Oriente, le alghe alimentari; 5) Prediligere uova di galline ruspanti, latticini ottenuti da animali liberi al pascolo; 6) Scegliere prodotti vegetali biologici, in quanto maggiormente ricchi di grassi ‘sani’; 7) Evitare merendine o prodotti grassi trasformati, come ad esempio le patatine fritte; 8) Preferire un piatto fatto in casa, anche semplice, a cibi preconfezionati; 9) Limitare i formaggi grassi e le carni rosse; 10) Fare attenzione a non usare troppo burro nella preparazione dei cibi.

Avrei qualcosa da ridire su un paio di questi punti, ma per stavolta sorvolo. In conclusione, questa della lipidomica vuole essere solo l’ennesima dimostrazione che è ora di smetterla con la demonizzazione dei grassi.

 

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