La lezione inquietante di Rosarno

A pelle di leopardo è esplosa nel Paese (a Milano, a Castelvolturno, a S. Croce Camerina… e a Rosarno) la rabbia degli immigrati, regolari o clandestini, in questi anni sia nella scuola che nei quartieri e nelle strade dei paesi e delle città coinvolgendo gli italiani in una dialettica sociale relativa alle relative condizioni di vita e di lavoro. Gli immigrati hanno denunciato un duplice sfruttamento, quello criminale delle varie mafie e in particolare della “ndrangheta” e quello del Governo che nel cosiddetto pacchetto di legalità e di sicurezza continua a discriminarli anche come lavoratori stagionali.

Dopo la guerriglia di Rosarno abbiamo dovuto registrare la protesta ufficiale del Ministero degli Esteri egiziano per la disumana politica governativa dell’Italia nei confronti degli immigrati di minoranza araba e di religione mussulmana come di altre etnie. L’Italia da paese di brava gente si è trasformata, a loro parere, in un luogo sociale invivibile e ambientale dal cuore duro e dal portafoglio avido. Gli italiani hanno forse mutato pelle, sono diventati insensibili, cinici e dal cuore di pietra? Si stanno forse inaridendo le radici cristiane e sono in via di esaurimento le virtù della compassione e dell’accoglienza, linfa vitale della fede cattolica nel costume vivo della nazione? Persino l’Osservatorio Romano, quotidiano della S. Sede, ha parlato di rigurgito razzista nell’Italia di oggi come allarmante e nuovo fenomeno culturale, civile e religioso.

Non c’è più spirito di accoglienza né volontà politica di integrazione, ma solo libero sfruttamento della manodopera. Gli italiani “parlano” di accoglienza e di integrazione solo a parole. Anche nel Nord Est è accettato solo chi si lascia assimilare e rinuncia alla sua dignità di lavoratore e alla sua identità di appartenenza etnica e culturale. A Rosarno è esplosa non solo la rabbia dei poveri lavoratori stagionali, immigrati e irregolari, con le loro famiglie, ma sono saltate anche tutte le regole del vecchio e illegale mercato del lavoro perché da tempo non ci sono stati i controlli di legge da parte delle istituzioni preposte. Di fatto si è favorito lo sfruttamento criminale del lavoro nero con la pratica e il pizzo del caporalato e con contratti di lavoro verbali e salari di miseria non sempre pagati. E’ così venuta a galla ed è esplosa in un’unica guerra la convergente polvere esplosiva di diversi cerchi concentrici dal livello istituzionale a quello sociale e criminale. Per motivi di ordine pubblico il Governo Berlusconi, condizionato dai leghisti, ha portato avanti in questi anni una dura repressione degli immigrati giustificata sempre da motivi di sicurezza e di ordine pubblico.

Il Ministro Maroni da un po’ di tempo non perde occasioni di incarnare il novello Francesco Crispi e, tutelando sempre gli interessi del Nord del Paese, interviene attivamente e direttamente in ogni territorio del Sud. Rosarno, grazie ai leghisti, è diventato il simbolo di uno Stato Italiano, autoritario e violento, insensibile e disumano. L’Italia ha ricevuto così nelle carni vive della sua tradizione di popolo cristiano, buono e accogliente un marchio di infamia insopportabile. E’ vero che con le forze dell’ordine si è evitato il protrarsi di una guerriglia urbana, ma si è attizzata contemporaneamente una guerra di lungo periodo, quella della incompatibilità “amico-nemico” tra gruppi etnici e indigeni che rischia, come guerra di poveri, di diffondersi a macchia d’olio nella cultura e nella vita sociale del Paese come fatto strutturale e permanente, come miscela sociale pronta ad esplodere a livello generale per l’insipienza muscolare dell’attuale Ministro degli Interni. Maroni, a differenza del predecessore On. Pisanu, non tenta preliminarmente alcun dialogo con le minoranze etniche interessate e presenti nel Paese sui più urgenti e caldi problemi della convivenza sociale e culturale, religiosa e scolastica, politica e democratica.

Questo Governo Nazionale, anche se il Presidente Berlusconi è solito defilarsi dalle questioni scottanti, finisce per ratificare tutte le scelte di Maroni con una delega in bianco di pieno appoggio con il risultato, ormai acclarato di accreditarlo come l’uomo “forte” del Governo perché da nazionalista difende gli interessi degli italiani ma finisce per alimentare un clima di xenofobia militante e di discriminazione razzista. A Rosarno si è scatenata, senza alcun messaggio ufficiale di contrasto critica da parte di esponenti del Governo “la caccia al nero” dimenticando che egli è il nostro fratello immigrato, di cui abbiamo bisogno e con il quale dobbiamo costruire la nuova Italia. L’unico presidio di libertà, pace e giustizia a cui tutti si sono rivolti come suprema garanzia di umanità e di equilibrio democratico è stata la voce responsabile, attenta e solidale del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, diventato in questi frangenti un credibile e principale punto di riferimento degli italiani e degli stessi immigrati. Papa Benedetto XVI con tutta la forza morale e religiosa della sua alta missione di Padre Supremo e di Vicario di Cristo in terra, ha fatto sentire la sua voce non solo per condannare la violenza da qualunque parte provenisse, ma per affermare la verità che “l’immigrato è una persona umana”, creata da Dio e redento dal sangue di Cristo ed è un nostro fratello, bisognoso in atto di buoni samaritani e non di bravi e forti poliziotti. Lodevole, ma ancora virtuale, la presa di distanza critica e politica del Presidente della Camera, On. Gianfranco Fini il quale sostiene un ruolo di equilibrio rispetto al Governo. L’opposizione democratica e parlamentare, all’unisono, ha chiesto un cambio di passo nella politica governativa dell’ordine pubblico e della immigrazione con l’abolizione della Bossi-Fini. Forse ha ragione Antonio Golini quando scrive che Rosarno è «una sconfitta per tutti», immigrati, residenti, autorità locali e centrali su un fenomeno abbandonato a se stesso e lasciato attecchire e incancrenire come immigrazione irregolare e clandestina sfruttata a “occhi chiusi e a cielo aperto”. (cfr. Il Messaggero, 10 gennaio 2010, pag. 1 e p. 17). Il lavoro in nero, le baraccopoli e gli attendamenti erano diventati “invisibili” come il villaggio delle paure e dei tormenti dei lavoratori stagionali per un tozzo di pane da guadagnare per sé e per le loro famiglie. Troppe paure e troppi calcoli politici ed elettorali hanno impedito sinora di procedere alla regolarizzazione, attraverso apposita sanatoria dei lavoratori stranieri, in aggiunta alle colf e alle badanti ed inoltre siamo uno dei pochi Paesi democratici a non riconoscere la cittadinanza italiana ai bambini nati nel nostro Paese o ai figli di immigrati residenti da almeno 5 anni. Il Governo cavalca da tempo, con un piglio demagogico e strumentale, una politica corta, cieca e di parte sulla sicurezza democratica e sulla immigrazione senza tentare un patto con le forze politiche sociali e culturali del Paese e nemmeno con la Chiesa Cattolica italiane e con le altre religioni. Senza un disegno condiviso e preliminarmente concordato e senza adeguati finanziamenti per le attività delle forze dell’ordine la stessa politica governativa del “manganello” non può che essere repressiva e antidemocratica.

Gli immigrati dei “cento paesi come Rosarno”, regolari, clandestini e figli di immigrati, non sono le truppe di assalto della democrazia italiana ma una umanissima questione sociale di domanda di lavoro, di diritto alla vita, di democrazia e di testimonianza della loro fede religiosa. La nuova questione sociale ha bisogno di un Paese e di una società civile più aperta ed equilibrata e più impegnata a promuovere e tutelare con spirito di solidarietà cristiana una politica attiva e universalistica di Welfare specifico sia per gli italiani che per gli immigrati allo scopo di evitare una guerra tra poveri. Ad esempio basterebbe dotare le Regioni e i Comuni di adeguati finanziamenti per costruire alloggi dignitosi per i lavoratori indigeni e stagionali, immigrati e inizialmente clandestini, veri e propri villaggi di accoglienza e di accompagnamento al lavoro e alla integrazione sociale e democratica. Nelle frontiere di mare a Sud del Paese trasporti a prezzo politico accessibili con scali di imbarco e sbarco mediante convenzioni tra i paesi del Mediterraneo mentre nei paesi e nei quartieri popolari ci vorrebbero adeguati WC pubblici dignitosi e custoditi per non sentire più le proteste degli italiani sulla inciviltà degli immigrati. Sarebbero segnali significativi ancora la eliminazione delle gabbie di ingresso degli immigrati nelle questure (cfr. Ragusa, etc.). L’ideale sarebbe predisporre con iniziative pubbliche luoghi di culto per i credenti di altre fedi religiose e luoghi di dialogo e di confronto interculturale tra italiani e immigrati e tra le prime e le seconde generazioni degli uni e degli altri. (cfr. i miei numerosi articoli e i miei libri di cui al sito www.lucianonicastro.it). Il Governo Berlusconi-Maroni si è preoccupato di accrescere invece la struttura dei centri di identificazione e di espulsione per accertare gli irregolari e i clandestini (operazione semplice!) e non si è curato di creare subito una rete funzionale negli Enti locali di Centri di Assistenza, di orientamento e di accompagnamento verso gli immigrati, i figli degli immigrati, i lavoratori stagionali e i centri di accoglienza del volontariato sociale (caritas, etc.) ai fini della lotta al lavoro nero e alla clandestinità “carbonara” e sotterranea del canale migratorio invisibile.

Non si è capito che ci vogliono una specie di CATA per gli immigrati con una legislazione più umana, permissiva e solidale. Maroni si ricordi di Giolitti, ministro degli Interni nel Governo Zanardelli, che affrontò la questione social e il problema degli scioperi tutelando l’ordine pubblico attraverso il buon senso democratico e l’accortezza di presidiare i luoghi istituzionali delicati e strategici (ferrovie, prefetture, etc.). La prima emergenza all’interno e all’estero è quella di socializzare, attraverso una campagna ad hoc dei mass media, un’immagine diversa dell’Italia, più umana, democratica e solidale come Paese dal volto buono e non dall’elmo di Scipio. Si è temuto e ironizzato da ogni parte il buonismo in politica, ma come ho dimostrato nel mio saggio di ricerca sociale “Fratello immigrato” – EdiArgo 2005- è sul piano dei valori e dei fini che si giudica una politica e non sui metodi di contrasto ai fenomeni sociali più complessi e difficili. In atto non ci sono condizioni “esogene” oggettive di pericolo per lo Stato Italiano e per la sua sicurezza sociale e dell’ordine pubblico, se guardiamo la realtà dell’immigrazione italiana senza gli occhi deformanti dell’ideologia e dei pregiudizi. Le uniche vere condizioni sono “endogene” e riguardano il livello politico dell’incapacità del Governo di pensare e di realizzare una seria e lungimirante politica facendo “buona leva” sul dialogo e sulla collaborazione interculturale degli italiani e degli immigrati e viceversa con programmi di socializzazione democratica e civile negli Enti locali e nella TV di Stato. Se l’immigrato è un uomo come noi e se è figlio di Dio come noi, ha diritto ontologico e morale a cercare come noi nel nostro Paese, se è democratico, cristiano e solidale, un lavoro, una casa, un avvenire di pace e di progresso per sé e per i propri figli. Non si tratta di aprire in modo cieco e irresponsabile le nostre frontiere a tutti i poveri del Mondo ma di saperle aprire a quelli che sanno bussare alle nostre giuste porte di ingresso a ciò predisposte “attivamente” e organicamente. A riguardo bisogna mettere sotto controllo un certo leghismo muscolare e xenofobo che, anche nelle sue espressioni più alte, continua a trinciare giudizi temerari e infondati sul Meridione e sui meridionali con una visione narcisistica e compiaciuta di antica tradizione “nordista”.

La politica del Governo è purtroppo malata di autoreferenzialità e di buonismo per sé quando persino Calderoli, l’ideatore della famosa legge elettorale, da lui definita una “porcata”, si permette di dire, senza essere smentito o richiamato dal Capo del Governo, che “col 18% di disoccupazione i clandestini immigrati in Italia sono inutili” e vanno cacciati via. La sua arroganza è pari all’ignoranza senza fondo che lo contraddistingue (cfr. La Stampa, 10 gennaio 2010, p. 5). Tutto si tiene: la disperazione e la repressione, la violenza e il sangue, con l’impero criminale appena scalfito nelle 7 regioni del Mezzogiorno e nelle aree ricche del Paese. La prima politica portata avanti negli enti locali, come ad esempio a Roma, è quella della distruzione ormai sistematica e preventiva dei ghetti delle baraccopoli senza predisporre preventivamente i luoghi della integrazione. Si vuole creare un cordone sanitario per il perbenismo che domina la cultura urbana. Come nel primo Ottocento, “le classi pericolose” all’origine della rivoluzione industriale erano i lavoratori, ormai lo sono diventati, mediante una propaganda martellante e tendenziosa, gli immigrati. Tutto il male sociale viene attribuito a loro, anche se statisticamente non è così. La lezione “inquietante” di Rosarno viene dal profondo della nostra attuale cultura di governo che non riesce a risolvere i problemi sociali e a promuovere l’integrazione democratica e civile degli immigrati di prima e seconda generazione.

Come ho sostenuto in un mio saggio su “Solidarietà” n. 60/2009 bisogna fare riferimento alla “luce” che viene dalla nuova enciclica sociale di Papa Benedetto XVI “Caritas in veritate” per risalire la china sociale, culturale e politica in cui siamo sprofondati nel Paese (cfr. il mio “I diritti sociali degli immigrati nella Caritas in Veritate” in “Orientamenti sociali sardi”, n. 1/2010). Si chiedeva Raoul Follereau: “Se Cristo domani bussasse alla vostra porta, lo riconoscereste?”. Il nostro popolo non deve perdere le sue radici cristiani e lo sguardo politico del buon samaritano unitamente alla fermezza della nostra democrazia, che nella Costituzione e pensata come matura, responsabile e solidale. Anche il Centro-destra deve poter tenere a freno certi “spiriti bestiali” presenti nel Governo e far prevalere le buone ragioni della tolleranza, della convivenza e della democrazia repubblicana e parlamentare in tutte le vicende politiche e sociali. Rosarno è una lezione perché questa vicenda è stata un segnale di avvertimento e l’annuncio di una sfida prossima ventura. Sarà saggio interrogarsi, prepararsi e cambiare di passo per non riaccendere la collera e la rivolta dei poveri immigrati sia dei braccianti considerati “invisibili” nelle vie del sottoproletariato nelle bidonville del nostro Sud che dei lavoratori, degli immigrati piccoli imprenditori e commercianti presenti nel tessuto economico e sociale delle città o nei ghetti delle nostre aree metropolitane.

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