LA LENTA EROSIONE DEL VIGNETO LOMBARDO

La Lombardia enologica è una realtà molto variegata. Da una parte si trova la denominazione Valtellina, dalla quale si producono senza ombra di dubbio alcuni dei migliori vini della regione e dell’Italia; da un’altra parte troviamo zone vitivinicole costruite a tavolinetto con l’obbiettivo di creare un tipo di prodotto già concepito anteriormente. È il caso della Franciacorta, una denominazione che si è sviluppata tramite grossi finanziamenti di imprenditori lombardi. D’altro canto ancora si trovano zone, che in passato erano dei bacini di produzione quantitativa, ma che oggi stanno facendo grandi progressi in direzione della qualità. È questo il caso dei vini dell’Oltrepò Pavese. Per chiudere vi è anche la realtà della DOC Lugana, quasi sconosciuta in patria, ma molto richiesta in Germania.

La Lombardia enologica odierna comprende quasi tutte le tipologie di vino. Un grosso settore in crescita è, però, quello dei vini spumanti, trainato soprattutto dal Franciacorta e dall’Oltrepò Pavese.

Nonostante il settore sia in crescita, si nota una progressiva tendenza alla riduzione dell’area vitata, sia per abbandono o sia per riconversione delle colture. L’aspetto più preoccupante di questo fenomeno, non è tanto la diminuzione del quantitativo produttivo, ma bensì il fatto che le aree, che soffrono maggiormente di questo abbandono, sono quelle collocate nelle zone collinari più impervie. Tradotto significa che è proprio la denominazione Valtellina, agli occhi di molti la più interessante della Lombardia, che sta riducendo la sua superficie vitata, già non proprio ampia.

Il motivo di questo fenomeno è ovviamente legato alle difficoltà oggettive che trovano i produttori, in riferimento soprattutto ai piccoli produttori dai nomi poco conosciuti, nel lavorare i vigneti della Valtellina. Basta guardare qualche fotografia dei vigneti valtellinesi, per rendersi conto dell’impossibilità dell’utilizzo di sistemi meccanizzati, che ovviamente abbattono di molto i costi di produzione. Ovviamente i produttori già affermati possono permettersi, anche se non privi di sacrifici, di produrre vini dai costi così elevati. Il discorso, però, cambia quando si tratta di piccoli produttori. Sia perché non molti sono disposti a spendere cifre elevate per vini sconosciuti; sia, ed è questo forse il motivo principale, perché spesso si tratta di aziende a conduzione familiare, che, se non si trova un erede disposto a proseguire l’attività,  finiscono quasi sempre per essere cedute.

In genere una riduzione delle aree vitate non dovrebbe essere giudicata sempre un fattore negativo. Ovviamente se queste, che vengono abbandonate, sono aree poco idonee alla produzione di qualità. Purtroppo però non è quasi mai così. In genere le aree vitate che aumentano, sono quelle che crescono all’interno di denominazioni già affermate. È il caso, tanto per fare un esempio, della denominazione Montalcino. Una denominazione che ha visto crescere esponenzialmente la propria zona territoriale non sempre a vantaggio della qualità o, per essere più precisi, della tipicità. Si pensi pure all’Oltrepò Pavese, che sebbene abbia migliorato notevolmente il proprio livello qualitativo, ciò non vuol dire che tutti i produttori di questa denominazione puntino alla qualità.

Altre zone, invece, avendo elevatissimi costi di produzione, si pensi alla Liguria o alla Valtellina, vedono ridurre il proprio campo vitato, che potrebbe in un futuro portare alla scomparsa di certi vini italiani, che possiedono un carattere unico.

 

 

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