LA GUERRA DELLE DONNE CURDE

Sono l’esercito delle donne dei peshmerga curdi, sono donne di ogni età ed estrazione sociale che combattono fianco a fianco ai loro uomini, gli preparano il cibo e si prendono cura dei bambini, allontanandoli dalle zone di guerra.

Sono  donne che preferiscono imbracciare un fucile piuttosto che cedere ai ricatti degli estremisti jihadisti.

Sono donne che non hanno paura di morire. Sono le donne di Kobane.

In un post sulla sua pagina fb,Davide Sassolli, Vicepresidente del Parlamento Europeo, le descrive senza preoccuparsi di far trasparire un monito di esaltazione «Sono ore drammatiche, decisive. Nella città siriana di Kobane un manipolo di combattenti curdi, tra cui molte donne, si oppone casa per casa all’avanzata dei fanatici dell’Isis. Sanno benissimo che, se catturate, verranno torturate e decapitate. Ma combattono per la propria terra, per la libertà, per l’umanità. Il mondo si inchini di fronte a tanto coraggio».

Sono le donne del Women’s Protection Units, le forze di autodifesa dal Partito di Unione Democratica (PYD),  che ha instaurato un governo autonomo nel Kurdistan occidentale siriano, una forza politica di sinistra considerata molto vicina al Partîya Karkerén Kurdîstan  (PKK – Partito dei Lavoratori del Kurdistan), dichiarato organizzazione terroristica dalla Nato, dagli Usa e dall’Italia.

Rappresentano il 40% dei combattenti coinvolti. Si tratta di una caratteristica unica della regione, infatti le strutture della società curda sono laiche, il ruolo delle donne è molto importante, a capo di ogni istituzione di solito ci sono un uomo e una donna, una visione che è in contraddizione con la misoginia tipica di questa zona del Medio Oriente. Questo punto di vista si scontra anche con il fondamentalismo dogmatico dell’Isis.

In occasione del meeting  dell’International Political Women’s Council in Germania, la co-presidente dell’Assemblea popolare del Rojava, Sinem Muhammed, ha ricordato che  «La YPJ (Woman’s Protection Units) sta lottando per conto di tutte le donne del Medio Oriente e del mondo. Oggi si potrebbe pensare che l’Isis sia  lontano dall’Europa. Tuttavia, questa è una minaccia contro tutte le donne del mondo. Il silenzio deve essere rotto. Oggi, nel Rojava  l’YPG e il YPJ stanno difendendo i valori dell’umanità».

In egual modo, ha affermato la ricercatrice curda Dilar Dirik al Convegno svoltosi presso la Casa internazionale delle donne sabato scorso: “Is è solo la forma attualmente più estrema non solo di oppressione fisica delle donne; ma di una forza che cerca di distruggere ideologicamente tutto ciò che la liberazione delle donne rappresenta.

La lotta delle donne curde non è solo una lotta militare contro Is per la sua esistenza, ma una posizione politica contro l’ordine sociale e la mentalità patriarcale. Sfidare le strutture sociali attraverso la mobilitazione politica e l’emancipazione sociale, insieme all’autodifesa armata, è un contro potere sostenibile a lungo termine per sconfiggere la mentalità di Is. Le donne del Kurdistan si percepiscono come le garanti di una società libera. È facile usare adesso le combattenti curde per dare un’immagine simpatetica di un nemico di Is, senza riconoscere i principi che stanno dietro alla loro lotta.

L’apprezzamento per queste donne non dovrebbe essere correlato soltanto alla loro lotta militare contro Is, ma anche al riconoscimento della loro politica, delle loro ragioni e visioni. Se ci sarà una vittoria contro Is, avverrà per mano delle donne curde”.

Non pochi sono stati gli atti lesivi dei diritti dell’uomo perpetrati dall’Isis, ma quelli contro il genere femminile si sono macchiati di una crudeltà fuori dal comune, motivata da una visione profondamente misogina della donna. Non si può dimenticare il sacrificio dell’attivista irachena per i diritti delle donne Samira al Nuaimy, torturata e giustiziata in pubblico a Mosul, nel nord dell’Iraq, dopo essersi rifiutata di fare atto di pentimento per le opinioni espresse contro lo Stato islamico su fb.

Samira al Nuaimy

 

Samira non è l’unica che ha perso la vita per la difesa della libertà di tutte e l’avvento del nazismo dell’Isis ha dato eco al coraggio di queste martiri.

Una dentista è stata trucidata perché curava gli “uomini”, 150 ragazze, alcune delle quali incinte, rifiutatesi di diventare le spose dei jihadisti, sono state per questo giustiziate e gettate in una fossa comune.

Il Ministro iracheno per i Diritti umani ha denunciato che molte donne e bambini sono stati sepolti vivi o fatti schiavi.

A ottobre, la giovane combattente già comandante, Arin Mirkan, si è fatta esplodere accanto a una postazione dei miliziani dello Stato Islamico per non diventare loro ostaggio.

 

Arin Mirkan

Il 3 ottobre, sempre nelle vicinanze di Kobane, una 19enne curda del gruppo Ypg, Ceylan Ozalp, si era uccisa pur di non finire prigioniera dell’Is quando aveva esaurito le munizioni, utilizzando la sua ultima pallottola contro se stessa. Un ultimo colpo alla testa per sfuggire a un destino da schiave, spose obbligate o ,magari, al rischio dello stupro etnico.

 

Ceylan Ozalp

 Queste donne hanno consapevolmente imbracciato le armi in mancanza di alternative. Uccidere è sbagliato, dicono, ma non abbiamo altra possibilità. Demistificano il discorso razzista di chi afferma che l’Islam è una religione oppressiva e misogina affermando che la folle e mortifera linea dell’Isis non ha nulla in comune con la religione. Le radici dell’oppressione nei confronti della donna, sia essa velata o esibita come oggetto sessuale, sono in un sistema mondiale di dominazione ed oppressione che prescinde da ogni discorso religioso, usato strumentalmente solo come specchietto per le allodole o per riempire di finti contenuti gli ipocriti contenitori mediatici.

La forza di queste donne dovrebbe andare ben oltre la semplice celebrazione, esse non si limitano ad imbracciare il Kalashnikov, ma si fanno protagoniste di una consapevolezza che sempre più spesso viene a mancare anche nelle “libere” società occidentali e che potremmo identificare nella necessità di una “società nuova”. 

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