LA DEMOCRAZIA INQUINATA

Harold J. Laski, storico del liberalismo, nel suo saggio, divenuto un classico della materia, “Le origini del liberalismo” sostiene che il liberalismo come ideologia fondamentale del mondo moderno sia nato come conseguenza, non voluta, della riforma protestante. Le ragioni sono molte e vanno dalla limitazione del potere della chiesa sulla vita privata e commerciale degli individui, dal passaggio di ricchezze dal clero alla borghesia, alla conquista della sovranità piena del potere degli stati non più limitato da quello della religione; e riporta anche l’opinione di Max Weber nei saggi del 1904 e 1905, pubblicati con il titolo complessivo “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”, che farebbe intendere, a prima vista, che il protestantesimo, e in particolare il calvinismo, sia stato all’origine del capitalismo moderno.

In realtà Weber mette in relazione due fenomeni omogenei: la mentalità religiosa calvinista e la mentalità capitalista, affermando che la prima fu una pre-condizione culturale insita nella popolazione europea assai utile al formarsi della seconda. Del resto anche l’uso del termine “capitalismo” associato a un fenomeno religioso del ‘500 sarebbe improprio, considerando che il sistema capitalistico è da riferirsi correttamente all’ambito della prima rivoluzione industriale della metà del Settecento. Weber infatti si riferisce allo “spirito” capitalistico, a quella disposizione socio-culturale che, correggendo la spontanea sete di guadagno, induce il calvinista a reinvestire i frutti della propria attività per generare nuove iniziative economiche. Egli notava che i paesi calvinisti, come i Paesi Bassi, l’Inghilterra sotto Oliver Cromwell e la Scozia, erano arrivati primi al capitalismo rispetto a quelli cattolici come la Spagna, il Portogallo e l’Italia. E si chiedeva se il capitalismo genuino, caratterizzato essenzialmente dal profitto e dalla volontà di reinvestire incessantemente quanto guadagnato, avesse una relazione con la mentalità calvinista, e se ciò potesse spiegare il ritardato avvento del capitalismo nei paesi rimasti cattolici, rispetto a quelli in cui si diffuse la Riforma.

La religione luterana aveva dichiarato l’inefficacia delle buone opere per essere salvati, la dottrina della giustificazione per fede era espressione della onnipotenza divina che, per suo insindacabile giudizio, rendeva giusto (iustum facere), giustificava, a condizione di avere fede, chi era ingiusto per sua natura, per il peccato originale. Si stabiliva così un rapporto diretto tra Dio e gli uomini. Veniva a mancare la funzione del dispensatore della grazia divina, il sacerdos, colui che dà il sacro, che assicura il fedele del perdono divino, per cui occorrono le buone opere, e della grazia salvifica. Per Calvino, il segno della grazia divina, visibile e sicuro,  è la ricchezza, il benessere generato dal lavoro. Anzi il lavoro in sé acquistava il valore di vocazione religiosa: è Dio che ci ha chiamato ad esso. È quindi il lavoro e il successo che ne consegue assicura il calvinista che “Dio è con lui”, che egli è l’eletto, il predestinato.

L’Italia non solo non ha vissuto nessuna Riforma ma ha subito pesantemente le conseguenze della Controriforma.

Ora due libri usciti di recente riprendono l’argomento cercando di spiegare perché l’Italia, da sempre, ha avuto un capitalismo inquinato. I libri sono “Il disagio della libertà” di Corrado Augias (Rizzoli 2012) e “L’intransigente” di Maurizio Viroli (Laterza 2012).

Entrambi i libri, diversi nel contenuto e nell’impostazione, espongono la tesi simile per cui la Controriforma in Italia, in un epoca di dominazioni straniere, fece divenire la maggioranza degli italiani servile, opportunista. La repressione degli eretici, di chi cioè si opponeva alle gerarchie ecclesiastiche, rinforzò la paura, il servilismo, l’adulazione in un popolo che lo era già di suo se non altro perché la sua storia lo aveva così forgiato.

Purtroppo ancora oggi l’arretratezza dello sviluppo italiano, l’ingombrante presenza del Vaticano che incide sui comportamenti quotidiani dei cittadini ha impedito lo sviluppo di un’etica laica e civica che coinvolga la politica e l’economia.

E il capitalismo del governo Monti è fuori da quello che abbiamo definito capitalismo inquinato? Non sembra. Le proposte che vengono dai partiti sono proposte confusionali, e il governo che deve mediare fra proposte spesso inconciliabili non riesce a proporre un modello chiaro di rapporto tra stato e mercato, tra imprese, banche e finanza. Le liberalizzazioni proposte non riescono a intaccare i monopoli e gli oligopoli esistenti. La vicenda sul pagamento dell’IMU da parte degli enti ecclesiastici dimostra ancora una volta che siamo molto lontani dall’essere uno stato non confessionale, ma che il Vaticano difende ancora con successo i suoi privilegi.

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