“LA CRISI NELL’AREA IBLEA NON E’ FINITA. SONO VERAMENTE POCHI I SEGNALI POSITIVI”

Presentato ieri mattina il periodico report del Centro studi per l’artigianato e la piccola e media impresa. Alla presenza del presidente provinciale della Cna, Giuseppe Massari, del segretario provinciale, Giovanni Brancati, del presidente del Centro studi, Saverio Terranova, assieme a Giorgio Occhipinti e Angelo Battaglia, sono stati illustrati i dati specifici di una indagine che evidenza come l’area iblea sia ancora alle prese, e in maniera seria, con la crisi economica. L’indagine è stata condotta su un campione di 200 imprese, con un incremento apparente di cinquanta rispetto alla precedente, ma in realtà di quasi cento imprese dato che sono stati esclusi i “servizi alle persone”, considerato che, per loro stessa natura, sono servizi di cui la clientela non può fare a meno anche in tempi di crisi; difatti nella precedente indagine le imprese del settore non hanno denunciato sostanziale calo di fatturato. Le imprese intervistate sono così strutturate: nel settore manifatturiero 68; costruzioni 52; impiantistica 35; servizi alle imprese 45. bLa ricerca è divisa, come sempre, in tre parti: Finanza, Produzione, Occupazione, con la domanda finale: cosa occorre per uscire dalla crisi? Ma questa domanda ne presuppone un’altra: il mondo, e, soprattutto, l’Italia è uscita dalla crisi? Questa edizione del report presenta due varianti: la prima, una sorta di introduzione, è un quadro globale della economia della provincia; la seconda, la conclusione, è una serie di considerazioni sulle richieste delle imprese. La prima parte prende le mosse dal fatto che si è registrato un calo sostanziale del Pil della provincia. E’ il segnale di un declino strutturale o il risultato di una congiuntura sfavorevole? La risposta è in un ampio quadro di dati ripresi dalla Banca d’Italia, dall’Istat e da Unioncamere. Questi i risultati del report. Il capitolo Finanza ha evidenziato che: il 26,50% delle imprese, ossia 53 su 200, ha subito contrazione del credito; delle 113 imprese che hanno chiesto finanziamenti per la gestione, 87, pari al 76,99%, lo ha ottenuto; delle 84 che lo hanno chiesto per investimenti, 51, pari al 60,71%, lo hanno ottenuto; cattive notizie giungono per quanto riguarda il costo del denaro: è sempre molto, troppo, alto: per i mutui a breve si giunge all’8% e perfino oltre; per gli affidamenti non ci si distanzia troppo da questi tassi. La Cna tiene a ribadire: è il peso che più grava sulla competitività delle aziende. Il capitolo Produzione ha evidenziato che: su 200 imprese, ben 138, pari al 69% delle intervistate, hanno registrato calo di produzione; la riduzione rispecchia quella al 31 dicembre 2009, quando si era al picco della crisi: il 10, il 20 e anche il 30%; il 13,77, ha superato il 30%. Ha riguardato tutti i settori, ma il maggiore danno è denunciato dal manifatturiero (68 imprese), seguito dalle costruzioni (52); il segnale di una crisi che non è finita, e forse in provincia è anche aumentata, si vede nel fatto che essa ha toccato anche le imprese alimentari che nel 2009 non avevano denunciato calo di fatturato; le imprese esportatrici sono 18 su 200 intervistate: di esse 12 sono nel settore manifatturiero e solo 4 non hanno registrato calo. Il capitolo Occupazione manifesta anch’esso segnali negativi: 76 imprese su 200, il 38%, hanno licenziato; ovviamente i settori interessati sono prima il manifatturiero e poi, a seguire, le costruzioni; i licenziamenti hanno riguardato 1, 2, 3 persone, ma anche da 4 a 7 persone; sono 53 le imprese che prevedono ulteriori riduzioni. Alla domanda: è finita la crisi per la vostra impresa? Solo 51 su 200 hanno risposto positivamente, mentre per le altre è ancora buio fitto. Quali sono le richieste delle imprese per uscire dalla crisi? Tutte le imprese chiedono come prima cosa facilita l’accesso0 al credito e poi la riduzione del peso fiscale. Anche questo è significativo del momento che attraversano le piccole imprese della provincia: hanno bisogno di rilanciarsi, ma occorre il sostegno finanziario. Per quanto riguarda la riduzione delle tasse sulle imprese è stata sviluppata un’ampia analisi sulla manovra finanziaria del governo, attualmente in discussione nel Parlamento. Essa non prevede un vero sforzo per rilanciare l’economia. D’altronde l’urgenza é superare il momento internazionale particolarmente difficile per il pericolo di défault, che, dopo avere colpito la Grecia, minaccia da vicino Spagna e Portogallo e non esclude il nostro Paese. La riduzione del carico fiscale non può tardare se si vuole una crescita dell’economia, senza la quale la crisi in Italia rischia di diventare sistemica. Il rientro del debito pubblico e del deficit avviene o aumentando le tasse o diminuendo la spesa. Poiché non è possibile aumentare le tasse, dato che siamo il Paese con il secondo più alto peso fiscale di Europa, resta la riduzione della spesa pubblica. E ce n’è molta da ridurre. Le conclusioni della ricerca sono semplici: la crisi non è finita; essa non ha prodotto un’ecatombe d’imprese come in altre parti del Paese; ma si è avuto un calo notevole di produzione e di occupazione; se si vuole una ripresa non basta annunciarla; occorrono una maggiore disponibilità finanziaria e una sostanziale riduzione del carico fiscale; questo, nella difficile congiuntura in cui ci si trova, potrà avvenire solo con una sostanziale riduzione della spesa pubblica; non si pensi che con questa manovrina l’Italia abbia risolto i suoi problemi e, soprattutto, quelli dell’economia reale. Occorrono riforme serie e sacrifici per coloro che possono farli senza incidere sui consumi. (Nella foto da sinistra: Battaglia, Brancati, Massari, Terranova)

 

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