“LA BELLA GENTE”, FILM DI IVANO DE MATTEO

E’ finalmente possibile vedere anche in Italia “La bella gente”, di Ivano De Matteo, giunto nelle nostre sale dopo numerosi problemi di produzione e uscito anche grazie alla battaglia personale dello stesso regista. Il film è stato infatti presentato al Festival di Torino nel 2009 ed ha vinto il Gran Premio ad Annecy Cinéma Italien, riscuotendo in Francia grande successo. Numerosi intoppi ci consentono però solo ora, dopo ben sei anni, di vedere il film di esordio di De Matteo, già apprezzato per i successivi “Gli equilibristi” e “Inostri ragazzi”.

La trama risulta apparentemente semplice. Susanna (Monica Guerritore) interpreta una psicologa cinquantenne in apparenza emotiva e sensibile che si occupa di donne che hanno subito violenza. Alfredo (Antonio Catania) un marito premuroso, colto ed equilibrato. Paola e Fabrizio (Iaia Forte e Giorgio Gobbi). una coppia di vicini ed amici abbastanza cafoni e maleducati da esaltare la perfezione di questa coppia di benestanti di sani principi dalla vita tranquilla e perfetta. I quattro si ritrovano nelle rispettive, splendide case di campagna a condividere, come di consueto, le vacanze estive. Recandosi in paese per alcune compere, Susanna vede sulla strada una giovanissima prostituta maltrattata da un uomo e, presa da impeto di genuina pietà, decide di portarla a casa, in salvo almeno in apparenza. Nadja, interpretata da Victoria Larchenko, si adatta immediatamente alla nuova condizione e si affida completamente alla coppia di benefattori. Ma l’arrivo del loro figlio (Elio Germano) che a dispetto della fidanzata (Myriam Catania) si interessa a Nadja e pare invaghirsene, rivela tutta l’ipocrisia della situazione che si è creata.

Inizia dunque in una quiete irreale “La bella gente”, quasi senza azione dirigendo però, scena dopo scena, l’attenzione dello spettatore oltre la trama, verso i sentimenti e le passioni che si muovono dietro all’apparenza, istintuali, che fanno paura e fanno da perno alla narrazione.

De Matteo, fine indagatore dell’animo umano come ha già dimostrato nei due precedenti film, riesce a far crescere in chi guarda, col passare dei minuti, l’inquietudine, quasi il fastidio per la difficoltà crescente dei protagonisti. Biasimo, ma anche un pizzico di comprensione, soprattutto per il disagio crescente di Susanna nel cercare di conciliare le proprie iniziali buone intenzioni con la vita reale, che ha bussato alla porta che lei stessa ha scelto di aprire. Si svela, lentamente, la paura dell’altro che la fa diventare quella se stessa che si sforza di nascondere, fredda, rude, cinica verso chi, pur aiutato, deve però rimanere al proprio posto, un po’ discosto, lontano, perché comunque indegno. Nadja diventa via via scomoda per tutti, come un vestito acquistato in un impeto di follia e rivelatosi, poi, fuori luogo. Molti i particolari che ci trasmettono lo stesso messaggio di ipocrisia e mancanza di scrupoli, disseminati tra le scene e che ricamano addosso ai personaggi un perbenismo che risparmia pochi e culmina in un dialogo finale quasi surreale tra Alfredo e Susanna.

Bella l’idea di iniziare il film con la porta che Susanna chiude alle spalle di una donna maltrattata alla quale ha dato conforto, e di concluderlo con la porta della casa di campagna che si chiude alle spalle della coppia che rientra, abbracciata, lasciando fuori il temporale e con esso una realtà che non è riuscita a sopportare perché troppo vicina e coinvolgente.

Una curiosità: la sceneggiatura di Valentina Ferlan, è diventata un libro, il primo della collana “Cinema da leggere”,edito da NED, di Pierpaolo Mocci, ex giornalista de Il Messaggero.

 

 

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