LA BELLA E BUONA EDUCAZIONE

Con gli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020 la Chiesa in Italia si è messa in ascolto del cuore sofferente della società civile e in essa di quanti poveri, smarriti, senza speranza e senza futuro sono i più fragili e i più disponibili all’annuncio della vita buona del Vangelo per uscire dal tunnel della crisi esistenziale, identitaria e sociale in cui sta sprofondando il Paese e la credibilità della sua classe dirigente politica.

Senza un forte appello alla riconversione comunitaria e un’ampia sinergia di corresponsabilità interpersonale, intergenerazionale, interculturale non ci può essere una buona educazione. Senza una grande alleanza spirituale tra il cuore della gente e le missioni delle istituzioni, la democrazia mancherà della suprema regola aurea dell’ethos pubblico che è la verità e l’amore della persona umana come bene comune e non ci sarà una promettente educazione politica. Oggi sono i giovani disoccupati, fragili e precari, che guidano il corteo dei disperati e testimoniano la presenza di Dio nel bisogno gridato di un supplemento di onestà e di responsabilità civica non solo del singolo individuo ma anche della corresponsabilità collettiva come sinergia di rinforzo comunitario e fonte di sostegno e di sviluppo collettivo spirituale e patriottico della Comunità Nazionale a 150 anni dalla sua fondazione unitaria.

Come diceva Richard Von Weizsäcker, presidente della Germania Federale, a proposito della lezione dei cattolici della “Rosa Bianca”, che fecero la Resistenza contro Hitler: “Ognuno è responsabile per ciò che fa…e per ciò che lascia fare”. Ci sono oggi buone ragioni per dire, ora come allora, pur nel mutato contesto, che l’impegno etico individuale è sempre necessario ma non basta più. L’etica della responsabilità deve fare un salto di qualità, deve prendere un ascensore largo e deve diventare etica della corresponsabilità sociale e istituzionale. Non basta rendere Dio presente parlando di lui nei momenti cruciali, bisogna anche e soprattutto testimoniare e disvelare la presenza di Dio e dei suoi doni valoriali di legame e di scopo nella quotidianità della storia e nel cammino di ogni difficile esistenza affinché diventi più giusta e a sua immagine. Per far crescere la grande sinergia relazionale della corresponsabilità spirituale pubblica bisogna diffondere nel popolo, e nei giovani in particolare, un modus vivendi di democrazia fraterna che si nutre della vita buona e santa del Vangelo come ci hanno insegnato con la loro testimonianza Benedetto e Francesco, Caterina e Lucia, Giorgio La Pira e Aldo Moro, Don Pino Puglisi e il giudice Livatino ai giorni nostri.

I cattolici non possono essere ancora “una riserva indiana” di questo Paese né l’ennesimo club service di seminatori di parole di conforto o di battaglie di divisione e di esclusione ma devono diventare un fiume carsico di inclusione e di solidarietà, architetti e costruttori di nuovi legami concreti di carità e di solidarietà e protagonisti di un nuovo corso utopico ma non utopistico di giustizia sociale per edificare una misura più alta e più abbondante del PIL (materiale e spirituale!) del Paese senza indulgere né al lavorismo, che abbrutisce né all’alienazione consumistica, che divora il cuore e gli affetti. Come la Chiesa, sacramento storico della presenza di Cristo, si prende cura e in cura come mater et magistra l’essere e il dover essere integrale della persona umana nel cammino della sua vita, dalla nascita allo sbocciare della giovinezza e dalla maturità al finire e al varcare la soglia dell’ultima speranza come abbraccio del Padre. E’ duro oggi per i cattolici e per tutti i cittadini il pane della quotidianità in educazione nell’ambito della società civile e delle sue istituzioni divenute grigie in questo giro di boa con l’egemonia pubblica della spirale individualistica e relativistica quando avanza il regno atomistico degli individui senza legami, origini e prospettive. Per le buone pratiche educative, moderne e virtuose, da implementare a livello intergenerazionale, ci vuole ancora una sinergia matura di corresponsabilità esigente nella famiglia e nella società, fatta di nuovi modelli educativi che prevedano lo spirito di sacrificio e di obbedienza e l’autorealizzazione individuale attraverso la cultura e la prassi della fraternità operativa. Ci vuole una rete di preghiere e di azione sociale, di opere buone e di spiriti più consapevoli e generosi, di padri e madri impegnati in una genitorialità più matura e testimoniale e una schiera di educatori di strada, di laici e di preti, che aprano dal basso la via ad una nuova classe dirigente civile e politica che sappia riempire la laicità delle istituzioni non di vuota e retorica neutralità ma di piena corresponsabilità di valori condivisi sulle cose ultime e penultime della vita degli uomini facendo spazio al vento della Costituzione Repubblicana e al soffio dello Spirito di Gesù e della Sua Chiesa secondo l’insegnamento del Papa, dei vescovi, dei sacerdoti e dei laici maturi. La missione cristiana nella società complessa di oggi non è moralistica né integralista ma è moralmente necessaria come preventiva e positiva opera di liberazione spirituale della degenerazione della libertà,come conversione laica e religiosa alla onestà dei costumi e al rispetto della dignità umana dei deboli e bisognosi. La creatività fraterna è l’antidoto al cinismo e allo sfruttamento delle persone nel lavoro e nella società. Gli sportelli della legalità e dell’accoglienza, anche con le case della carità per i rom e per gli immigrati,servono anche a costruire le condizioni minime del legame di civiltà democratica come premesse virtuali di una possibile e futura felicità sociale interculturale e intergenerazionale fra gli italiani autoctoni e quelli di nuova generazione o di provvidenziale e sacro legame umano di civiltà.

La nostra missione, insieme con quella degli uomini buoni e giusti delle altre religioni e filosofie di vita, si svolge ormai sotto condizioni e restrizioni, strutturali e culturali, locali, nazionali e globali, che toccano da vicino il cuore e il destino delle famiglie e delle varie relazioni amicali, come le convivenze di fatto sia etero che omosessuali, e riguardano il senso interiore e umano della vita personale e sociale ad ogni momento della sua esistenza pubblica. Ai cattolici interessa la coerenza tra il cuore, il pensiero e l’azione umana delle persone alla stessa stregua dei modelli e delle istituzioni educative, statali e non statali, laiche e religiose, che con fatica servono a costruire i ponti di relazione sociale e valoriale e fatti di paideia civile per abbattere le trincee permanenti di scontro etnico, ideologico e di pregiudizio xenofobo e culturale. Oggi, come lamentava nel passato Platone, c’è una diffusa e maleodorante aria di demagogia populista, che ha rovinato il sentimento puro dello spirito di libertà, di autenticità e di fraternità. Ci vuole ormai un salutare contagio non solo di tolleranza attiva ma soprattutto di servizio fraterno e di reciprocità militante di bene comune. Come non ritornare alla saggezza di S. Ambrogio nel pullulare del fenomeno del popolo libertino e senza regole. Diceva S. Ambrogio nella famosa Lettera a Simpliciano che «la libertà non è un semplice dono ma una virtù, che non viene concessa dai voti altrui, ma viene rivendicata e posseduta mediante la propria grandezza d’animo».

Il demagogo concede, consiglia e pratica il permissivismo a tutto campo e come mission il consumismo, una vita facile e piena di piacere e di licenza, troppe libertà per asservire meglio e legare nella prigionia della caverna di turno soprattutto i giovani perché ha una fame ingorda di sempre nuovi servi da sacrificare sull’altare dei moderni idoli del denaro e del gioco, della droga e della prostituzione. La società parla anche nell’omertà e nella fruttuosa convivenza della illegalità come in Sicilia o nel Meridione e che ormai, nelle sue gemmazioni mafiose a spirale, come aveva profetizzato Leonardo Sciascia, si è diffusa anche al Centro e al Nord perché nei templi delle nuove religioni del piacere prospera la nuova managerialità imprenditoriale ricca e invasiva. La legittimazione culturale ha trasformato con l’aiuto delle tv commerciali e di trasmissioni disinvolte (cfr. telenovelas, beautiful, grande fratello, isola dei famosi et similia…) il legame sociale di intrattenimento e il senso della vita su frivolezze e sull’effimero o sul successo d’accatto. Sono scomparse le api e le formiche,volano stuoli di cicale. Non si vuole un Italia bigotta,moralista e bacchettona ma sobria e onesta,lavoratrice e impegnata a trasmettere il meglio di sé alle nuove generazioni. Una cultura di solidarietà e di sviluppo civile richiede non il liberismo TV selvaggio e il rampantismo del far west pubblico- privato ma una nuova capacità etica e pubblica di indignarsi e spegnere ogni dipendenza. La nuova tecnologia richiede uno zapping condiviso di codici e di regolamentazione educativa e democratica. Nuove leggi devono far crescere la libertà di convinzione responsabile per un costume di corresponsabilità sociale in mano ai nuovi saperi che postulano nuove competenze diffuse e nuovi sistemi di comunicazione tecnica e maieutica. Il nuovo aeropago nazionale e globale deve poter diventare un moderno agorà in cui si confrontano laicamente la fede e la ragione, l’immaginazione e il sogno, la povertà del domandare e la ricchezza delle risposte relative,ma non l’arroganza del denaro e del Potere di turno. Fortunatamente non manca la satira politica e la libertà di stampa e di religione. Stanno altresì emergendo nuove équipes di tecnici e artisti della comunicazione,dei programmi seri di intrattenimento e di dibattito qualificato e non gridato, una classe di nuovi registi e operatori della persuasione civile e della correzione fraterna. Soprattutto nel mondo cattolico i linguaggi della comunicazione pastorale vanno rivoluzionati, devono diventare più adeguati e congeniali, devono parlare chiaramente e far parlare nel dialogo aperto distintamente i vissuti dei giovani e delle loro famiglie. La prima sfida dell’educazione odierna è proprio quella di una rivoluzione formale e sostanziale nella comunicazione interpersonale e mediatica interculturale sia nella strategia che nell’uso della tecnica della moderna “persuasione valoriale”, del faccia a faccia di una libera socializzazione anticipatrice e integratrice, positivamente inclusiva e non assimilatrice. Parlare al cuore, alla mente e agli stessi occhi dei giovani di oggi dei quartieri popolari e della classe media, alla loro intelligenza emotiva,con il linguaggio filmico e audiovisivo e dei networks, significa creare ponti di dialogo diffuso e diffusivo di cuore e di mente e, come in un tam tam accendere motivazioni non superficiali di senso di vita in comune e di speranza di futuro legale comune,facendo vibrare nei giovani soprattutto le corde più intime e i desideri più profondi delle loro personalità esigenti e meno superficiali. Films, cineforum, libri adatti a gruppi di coinvolgimento e dialogo aperto e coraggioso (cfr. l’opera pionieristica e il prezioso compito delle “Paoline”!). Ecco perché educare alla vita buona del Vangelo è un atto di grande coraggio e di esigente coerenza cristiana della famiglia, della scuola, della chiesa e della società che impegna innanzitutto i discepoli del Signore Gesù, Maestro buono e medico dei malati, a pagare prezzi alti in termini di testimonianza, di sacrificio e di servizio, a realizzare ponti e cime di dignità fraterna di uguaglianza e di giustizia sociale, di evangelizzazione della gioia e della promozione umana nei ghetti e nei quartieri della periferia,spesso in mano alle strutture di peccato della”Mala”. Il presupposto fondamentale e il prerequisito valoriale genetico nella famiglia, nella scuola, nella società, nelle reti amicali e nei gruppi, nelle professioni, nell’economia, nella ricerca e nella cultura, nel lavoro e nella politica è una bella e buona educazione e formazione “competente, profetica e generosa” come sinergia riannodata di grande corresponsabilità, abbandonando la logica di ciò che separa e abbracciando su tutto l’arco dei temi e problemi quella che unisce secondo lo spirito agostiniano di Papa Giovanni XXIII.

Formare e fermare lo zoccolo duro dell’ethos pubblico è dovere di tutti ma senza “il castello interiore”,spirituale integrale dei giovani soprattutto è un’impresa condannata a spegnersi come legame intergenerazionale. Senza retorica è veramente l’ora della fede “testimoniante e trasformante”, della vita buona e onesta, della forza diffusiva del cuore e non solo della ragione per mediare i conflitti sociali e prevenire le devianze identitarie di gruppo. Si tratta di sperimentare nel vivo della società e dei suoi territori nuovi progetti educativi che diano un porto e una trascendenza alla mente multiculturale, ormai una necessità nel mondo globale attuale. E’ da inaugurare da subito il tempo lungo della esigente e progressiva universalità del bene comune da elaborare e testimoniare lottando contro l’individualismo di massa che si nutre del relativismo e del nichilismo di una persistente mentalità difensiva monoculturale che si incattivisce nel suo anacronismo. La logica della cieca conservazione porta allo spirito pernicioso della paura e della insicurezza,alla solitudine del cittadino globale che anela alla riconquista e alla guerra carsica permanente tipica dei “nuovi cacciatori”. Essa però non può appartenere ai cristiani di questo Paese né agli uomini onesti e democratici di buona volontà perché tutti anelano al progredire di ciò che vale, alla ripresa del cuore antico in nuovi contesti culturali,economici e politici. La nuova ottica è quella più umile e dolce della religione dei “seminatori” che sanno cooperare e aspettare che la medicina del sole, della pioggia e del buon terreno portino la cura della fede e della ragione nella centralità personale e sociale dei valori dello sviluppo sulla cultura dell’effimero e del soggettivo, sulla scommessa della realtà sostanziale che permane sotto la cenere dell’apparire che rapidamente passa di moda.

Secondo Daniel Bell, il più importante teorico neo-conservatore contemporaneo americano di oggi, affermare che «Dio è morto» equivale anche a dire che «la società è morta» perché dall’Illuminismo in poi la centralità dei valori dell’uomo è stata offuscata dal pericoloso dualismo culturale e morale tra sacro e profano, che sul piano esistenziale e sociale ha superato condizioni e valori, strutture e significato e ha fatto dilagare una nera e non sempre salutare secolarizzazione. Non si tratta di rimpiangere un neo conservatorismo religioso e populista, una ghigliottina “sanfedista”e moralista alla Savanarola ma di liberare l’autonomia e la laicità del temporale implementando un insieme di valori spirituali di bene comune capaci di ricentralizzare e di essenzializzare la vita intima delle persone e soprattutto dei giovani in tutti i luoghi reali, simbolici e mediatici, istituzionali e informali, attorno e dentro piazze di incontro, luoghi di ritrovo e di libere aggregazioni con maggiori e pubbliche corresponsabilità educative. I confini dello Spirito incarnato nella Cultura, nella Società, nell’Economia e nella Politica si devono allargare ed estendere proficuamente per una vita bella e buona,propria non dei servi del ventre ma degli amici del cuore. Per questo Gesù diceva che non li chiamava più servi ma amici e rispettando il loro spirito di persone umane intelligenti e libere li invitava ad imparare da Lui che era mite e umile di cuore. Il volto cristiano del Paese è implicitamente universale ,in persona Christi, e per questo dà ancora oggi alla Chiesa cattolica ,suo sacramento visibile, una forza e una credibilità fresca e giovane affascinante e rigogliosa. Bisogna prendere atto della situazione nuova che sta vivendo la società civile multiculturale italiana. La religione ha assunto di per sé e di fatto un valore pubblico e civile e senza esorbitare dalla intrinseca nuova laicità del confronto e del progetto democratico, non ha ancora avuto un riconoscimento della sua necessaria funzione pubblica, con nuove regole certe e condivise di convivenza plurale ma nazionale ,convergente e unitaria secondo la carta costituzionale che prefigurò la Repubblica come società non di ghetti ma di una comunità di scopo. La fede cattolica, come ogni fede, compresa quella islamica, ha diritto alla concittadinanza pubblica e alla tutela del proprio antico servizio storico riconosciuto,apprezzato e sostenuto senza ostracismi in qualità e quantità. E’ il momento anche di un secondo Risorgimento religioso ,dopo quello dei 150 anni di unità d’Italia, senza la nostalgia del Papa Re né di un nuovo Iman mussulmano o altro potere teocratico di assalto nei territori. La cultura politica democratica può ad ogni buon conto inaugurare un nuovo corso “pubblico” e non vivacchiare nel templi e nelle sagrestie o nella clandestinità. La libertà religiosa va salvaguardata, tutelata e normata nella migliore e sana laicità positiva per il maggiore bene del Paese per tutti, a partire dai cattolici che hanno rappresentato le radici antiche e le fonti della ricostruzione storica come la giovannea fontana del villaggio.

Un progetto educativo cristiano e cattolico sia nella società che nella scuola e nelle istituzioni è specifico e alternativo alla cultura del conformismo ma si pone in termini di inclusività e di valorizzazione di ciò che è buono e giusto nelle posizioni altrui, laiche e religiose perché è più abbondante in altezza di cielo metafisico e in fraternità religiosa e civile in sede antropologica perché non discrimina nessuno. Non è presuntuoso sul piano metodologico e didattico ma più pieno di stimoli e di finestre sul cielo e sul mondo. Si colloca infatti al piano superiore ma vi si sale attraverso le scale comuni dell’umanesimo integrale per raggiungere però il vertice dell’orizzonte supremo da dove sia ai credenti che ai laici Dio parla al cuore dell’uomo. Dio è necessario anche per i laicisti (cfr. Giulio Giorello, Senza Dio,Longanesi 2010) come ultima ipotesi metodologica di comprensione e istanza epistemologica di spiegazione, di umanizzazione fraterna e di garanzia di bontà, di giustizia suprema e forza di civiltà ulteriore. La libertà di educazione attraversa e penetra le istituzioni scolastiche (scuola privata e scuola statale!) e li lega in un sistema pubblico unitario anche se articolato e garantito. Per questo anche sul piano legale non ha senso spingere ad uno scontro dannoso tra progetti educativi laici e confessionali, perché hanno un uguale prerequisito di cultura e di diritto che appartiene a tutti e a ciascuno ed è approdo comune di un lungo di confronto storico, istituzionale e sociale che non giustifica eroici furori di negazione o di esclusione a priori. La libertà di educazione è un diritto originario e primario della famiglia ma è anche un dovere della società e dello Stato assicurarne l’accesso e l’esercizio a tutti sino al piano superiore. Il che vuol dire che non solo i simboli religiosi,culturali e di identità hanno diritto di cittadinanza ma anche i valori e le specificità senza ostracismi di sorta o divieti di maniera o di calcolata opportunità. In educazione bisogna sempre chiedersi come sosteneva Giulio Girardi: “Educare per quale società?”. Non basta dire della nostra società che è multiculturale che è un dato di fatto, ma bisognerebbe aggiungere anche “transculturale” come indica l’art. 3 della nostra Costituzione.

Nel circolo della conoscenza e del sapere, come ci ha ricordato Papa Benedetto XVI, citando il beato Newman, Dio è l’anello necessario come principio e senso del tutto.

La società moderna ha recuperato la circonferenza ma ha dimenticato il centro, the circle of Knowledge. La bella e buona educazione deve testimoniare la visibilità della sua luce di scienza e di saggezza, il centro del circolo e il senso del sapere che ha forza di una permanente metanoia pubblica e privata..

Le scuole cattoliche hanno però bisogno di purificare quella distorta percezione secondo la quale esse sono le scuola dei ricchi con qualche borsa di studio per i poveri…Esse hanno il dovere di rinverdire l’origine popolare dei loro fondatori e garantire il diritto universale di accesso nella misura in cui percepiscono i finanziamenti pubblici e anche perché si ispirano alla concezione cristiana dell’uomo, della cultura e della totalità della realtà (Dio Padre incluso e riconosciuto!). Hanno il dovere e il diritto di servire la ricerca del bene e della verità in ogni modo e con tutti i linguaggi. Esse sono eccellenze di qualità nel servizio civile comunitario perché sono garanzia di libertà spirituale e di corresponsabilità sociale e si qualificano come comunità di territorio e presidio di vigilanza educativa e democratica nel variare dei sistemi culturali, sociali e politici. Sono anche luoghi simbolici,culturali e reali di formazione dei nuovi educatori, dei ricercatori e degli intellettuali, agenzie di rinnovamento e di sviluppo della cultura educativa alla luce del pensiero cristiano e di contestazione critica di ogni riduzione dell’educazione e della formazione a mera istruzione e a orientamento ideologico relativistico,scettico e conformistico, rielaborato talvolta con la veste e il mito della neutralità del sapere e della scienza, della ricerca e della tecnica. La ricerca dell’obiettività non può non essere scopo del bene comune e fondamento del futuro dell’uomo specie in tempi di multiculturalismo, di dubbio scettico e di pensiero debole, liquido e conformista ma non può avere colorazione ideologica ma deve essere dimensione comune di un avvertito spirito pubblico e critico.(J.Habermas)

Nelle scuole statali poi la presenza dei cattolici è sempre necessaria anche come gruppo di testimonianza e di animazione spirituale e progettuale, di servizio dialogico di confronto tra valori di civiltà e di collaborazione fraterna per lo sviluppo. I cattolici del nostro Paese non sono mai stati una nicchia di arroccamento ma una schiera di testimoni, cioè di umili e coraggiosi servitori della parola, della cultura e del primato della libertà dell’educazione super omnia e di valorizzazione della funzione maieutica genitoriale, docente e sociale. Memori della lezione di Papa Benedetto XVI il quale anche recentemente ha ribadito che «educare è un atto di amore, esercizio della carità intellettuale che richiede responsabilità, dedizione, coerenza di vita». (cfr. Zenit, org. 7 Febbraio 2011).

 

 

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