KHOJALY UNA FERITA APERTA NEL CUORE DELL’AZERBAIGIAN

Il 26 febbraio è ricorso l’anniversario del massacro di Khojaly.

Perpetrato dagli armeni durante la guerra del Nagorno-Karabakh e definito anche genocidio di Khojaly, rappresenta una delle pagine più terribili e tragiche della storia dell’Azerbaigian, che l’ex Presidente, Heydar Aliyev, ha definito: “il più terribile atto di terrore di massa nella storia dell’umanità”.

Una tragedia, a suo tempo annunciata, cui ci pare doveroso concedere almeno quello spazio riconosciuto alle altre immani tragedie che hanno flagellato l’umanità. 

Tra il 25 e il 26 febbraio 1992, centinaia di civili di origine azerbaigiana della città di Khojaly, situata in prossimità dell’unico aeroporto presente nel Karabakh, controllato dall’esercito azerbaigiano, furono barbaramente trucidati dalle milizie armene.

Khojaly costituiva un obiettivo strategico e, quella sera, l’esercito armeno, coadiuvato dal secondo battaglione del 366° Reggimento di fanteria russo, iniziarono ad attaccare la città.

In Azerbaigian il massacro di Khojaly è riconosciuto come un vero e proprio genocidio (Xocalı soyqırımı), perpetrato nei confronti dell’indifesa popolazione azerbaigiana dalla furia dell’esercito armeno. Genocidio, perché le forze armate armene stabilirono intenzionalmente di sterminare parte della popolazione civile di Khojaly al fine di vendicare il pogrom di Sumgait, avvenuto il 27 febbraio 1988.

Un intento che si può, peraltro estrapolare dal cinismo insito nelle seguenti parole di un’intervista rilasciata, nel 2000, al giornalista britannico Thomas De Waal dall’attuale Presidente armeno Serzh Sargsyan, che al tempo del conflitto armeno-azero ricopriva la carica di Ministro della Difesa:

 

“Before Khojaly, the Azerbaijanis thought that they were joking with us, they thought that the Armenians were people who could not raise their hand against the civilian population. We were able to break that stereotype. And that’s what happened. And we should also take into account that amongst those boys were people who had fled from Baku and Sumgait. Although I think that is still very much exaggerated, very much. Azerbaijanis needed an excuse to equate a place to Sumgait, but they can not be compared. Yes, in fact, was in Khojaly civilians, but along with the civilians were soldiers. When a shell is flying through the air, it doesn’t distinguish between a civilian resident and a soldier; it doesn’t have eyes. If the civilian population stays there, even though there was a perfect opportunity to leave, that means that they also are taking part in military operations (…)”[1].

 

Le milizie armene assediarono e massacrarono l’intera popolazione islamica della città di Khojaly. Una violenza brutale che non risparmiò donne, anziani e bambini, provocando la morte di 613 persone e quasi 500 feriti. Fra questi 106 erano donne, 63 bambini e 70 anziani. 8 famiglie furono completamente annientate, mentre 130 bambini rimasero orfani di uno dei genitori e 25 di entrambi. 1.275 residenti furono presi in ostaggio e il destino di 150 di loro è ancora sconosciuto. Il più grande massacro del conflitto che oppose Armenia e Azerbaigian.

Sulla mattanza di Khojaly, non mancano lati oscuri. Infatti, l’esercito armeno, oltre che dell’uccisione dei civili fuggiaschi dalla città, durante gli scontri, fu accusato anche di avere perpetrato atrocità nei confronti di uomini, donne e bambini. Questo, per via dei corpi successivamente ritrovati che presentano mutilazioni, deturpazioni, decapitazioni ed altre efferatezze.

Mercoledì 12 febbraio scorso, a Roma, si è svolta una conferenza internazionale dal titolo: “La protezione della popolazione civile nei conflitti armati: il caso di Khojaly”, organizzata dal Comitato Italiano Helsinki per i diritti umani e dalla Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo (LIDU), finalizzata ad informare e sensibilizzare l’opinione pubblica italiana, analizzando i fatti dal punto di vista del diritto internazionale.

È da qualche anno che in Italia ci sono iniziative che cercano di far conoscere le cifre di questa tragedia. Nel 2012, una lettera spedita dal deputato del Parlamento italiano, Maurizio Del Tenno, al Vice Presidente dello YAP (Partito del Nuovo Azerbaigian), Ali Ahmedov, aveva portato ad un incontro a Milano, fra lo stesso e l’ex Primo Ministro Silvio Berlusconi.

Proprio in quest’occasione, il Presidente del “Popolo delle Libertà” si era impegnato ad agire per un riconoscimento della tragedia di Khojaly da parte dei rappresentanti dei partiti del Parlamento Italiano. Iniziativa decaduta a causa delle vicissitudini politiche degli ultimi due anni.

Il politologo turco Ismayil Toğrul, in relazione ai fatti, in un’intervista rilasciata sempre nel 2012 aveva dichiarato quanto segue:

“Vorrei ricordare che, qualche tempo fa, alcuni membri del Congresso degli Stati Uniti non si sono certo risparmiati per portare a conoscenza dell’opinione pubblica mondiale il massacro di Khojaly.
 Nel 2010 presso la Camera dei Delegati del Congresso degli Stati Uniti, i membri del Congresso, Bill Suater, Soloman Ortiz e il membro del gruppo, Michael MacMahon, co-presidenti del gruppo operativo agente per l’Azerbaigian, avevano sortito una dichiarazione al Congresso. Peraltro anche in Turchia, la questione viene a porsi in posizione centrale rispetto all’interesse dell’opinione pubblica nazionale.

L’Azerbaigian, nonostante la sua indipendenza, è da 20 anni che viene a trovarsi sotto l’occupazione dell’Armenia, la quale rea di carneficine di massa, quali il genocidio di Khojaly, soggioga ancora il 20 per cento delle sue terre. Purtroppo nonostante alcune accuse da parte di organizzazioni internazionali così come l’operato del gruppo di Minsk, legato all’OSCE, risultati concreti non sono ancora stati compiuti. Pertanto, dobbiamo fare tutto il possibile affinché l’Unione europea muovendosi seriamente, non venga meno alla sua partecipazione a questo dibattito.

Come già è stato affermato dalle Nazioni Unite, dal Consiglio del Parlamento d’Europa e da un certo numero di altre organizzazioni prestigiose, dubbi circa l’aggressione armena all’Azerbaigian nel Nagorno-Karabakh non ve ne sono. Peraltro il mancato rispetto delle numerose risoluzioni ONU che richiedono il ritiro dai territori azeri occupati dall’Armenia unitamente all’impunità di questi fatti esaspera ulteriormente questo Paese.
 Tutto ciò è deplorevole e quindi non dobbiamo esimerci di fare tutto il possibile per diffondere questa notizia e per far sì che la tragedia di Khojaly, all’interno del dibattito e del riconoscimento a livello internazionale, passi come genocidio. Pertanto dobbiamo fare in modo che l’Europa, includendo come nazione amica l’Italia, compia dei passi atti sostenere l’Azerbaigian ed a raggiungere la pace e la giustizia, legate a quel 20 per cento di territori occupati dall’Armenia. Per porre fine a questo conflitto ancora non risolto ci dobbiamo mobilitare tutti”[2].

 


[1] De Waal, Thomas (2004). Black garden: Armenia and Azerbaijan through peace and war. ABC-CLIO. pp. 172–173. ISBN 0-8147-1945-7. “Prima Khojali, gli azerbaigiani pensavano di scherzare con noi, avevano pensato che gli armeni non avrebbero potuto alzare un dito contro la popolazione civile. Siamo riusciti a infrangere quello stereotipo. Ed è quello che è successo. E dovemmo anche tener conto del fatto che tra quella gente c’erano persone fuggite da Baku e da Sumgait. Sebbene ritenga che ciò sia molto esagerato, molto. Gli azerbaigiani avevano bisogno di una scusa per comparare un luogo con Sumgait, ma non era possibile. Sì, in effetti, c’erano civili a Khojaly, ma insieme con i civili c’erano soldati. Quando una granata vola nell’aria, non fa distinzione tra residenti civili e soldati, non ha occhi. Se la popolazione civile rimane lì, anche quando ci sarebbe stata l’opportunità di andarsene, questo significa che sta prendendo parte alle operazioni militari”.

[2] http://www.nododigordio.org/asia-centrale/togrul-ismayil-il-sollevamento-della-questione-inerente-a-khojaly-da-parte-del-parlamento-italiano-costituisce-un-passo-importante/

 

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