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ITALIA PRIMA IN EUROPA PER INQUINAMENTO DELLE ACQUE DA METALLI PESANTI
26 Mar 2014 20:29
In concomitanza con la Giornata Mondiale dell’Acqua, Legambiente ha pubblicato un Dossier sullo stato di salute in cui versano le acque del nostro Paese.
Quello che si delinea dai dati in esso contenuti, è un quadro a dir poco grave e preoccupante. Sono state analizzate le informazioni dell’ “European pollutant release and transfer register”, un registro redatto dalle industrie stesse che dichiarano le loro attività di “smaltimento”. Che i dati siano perciò sottostimati e che lo sono ancora di più poichè non possono tener conto del sottobosco costituito dai fenomeni di sversamenti illegali è chiaro e allora ci rendiamo conto che la situazione delle acque italiane e quindi della salute dei cittadini e degli ecosistemi è più a rischio e più pesante di quanto calcolabile o percettibile. Inoltre, nel redigere il Dossier si è tenuto conto “solo” dei dati relativi alle principali sostanze “pericolose prioritarie”.
Risulta che l’Italia detenga il triste primato, tra i Paesi Europei industrializzati, per quantità di inquinanti sversati nelle acque di fiumi e mari: ad esempio (dati riferiti al 2011) è prima nell’emissione di metalli pesanti come mercurio (258 chilogrammi), cadmio (1,84 tonnellate), arsenico (4,85 tonnellate), nichel (31 tonnellate), zinco (51 tonnellate), cromo (31 tonnellate), piombo (12,7 tonnellate) e rame (9 tonnellate). Primi anche per quanto riguarda le sostanze organiche quali l’antracene, il benzene, gli idrocarburi policiclici aromatici (Ipa) e i nonilfenoli; delle ultime due classi di composti addirittura l’Italia ne emette rispettivamente il 39% ed il 60% di tutta la produzione europea.
«Occorre migliorare in qualità e quantità l’impiantistica esistente specifica del trattamento delle acque industriali, aumentare i controlli sul territorio e non permettere il mescolamento delle acque reflue industriali con quelle civili per evitare che le prime vadano a finire in impianti non idonei al trattamento specifico di inquinanti chimici».
Stiamo parlando di sostanze altamente tossiche e cancerogene per l’uomo ed altrettanto devastanti per la vita di piante, animali e deleteri per i complessi e delicati equilibri degli ecosistemi. «L’inquinamento chimico delle acque è una minaccia per l’ambiente acquatico, con effetti quali la tossicità acuta e cronica negli organismi acquatici, l’accumulo di inquinanti negli ecosistemi e la perdita di habitat e biodiversità, e rappresenta una minaccia anche per la salute umana».
L’Italia quindi continua a viaggiare lontanissima dall’attuare le giuste strategie di salvaguardia e la scadenza del dicembre 2015 per il raggiungimento degli obiettivi ambientali previsti dalla direttiva quadro sulle acque 2000/60 in termini di conseguimento (o mantenimento) del “buono” stato ecologico per tutti i corpi idrici, è purtroppo distante anni luce. In Italia addirittura «non si conosce lo stato ecologico del 56% e lo stato chimico del 78% delle acque superficiali; i corpi idrici che ricadono nelle classi “elevato” e “buono” per lo stato ecologico sono complessivamente il 25%, mentre per lo stato chimico sono in classe “buono” il 18% delle acque superficiali monitorate».
Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente: «Oltre al danno la beffa. Infatti agli aspetti ambientali si aggiunge, sul fronte economico, la minaccia di pesanti sanzioni per le procedure d’infrazione che scaturirebbero dal mancato rispetto delle direttive. È sempre più urgente quindi avviare una seria e concreta politica di tutela delle risorse idriche. Occorrono piani strategici che puntino a ridurre i prelievi e i carichi inquinanti, ricorrendo anche a misure come la riqualificazione dei corsi d’acqua, la rinaturalizzazione delle sponde, la fitodepurazione, il riutilizzo delle acque ai fini industriali e irrigui e la ricerca di soluzioni al problema dell’artificializzazione dei corsi d’acqua e dell’impermeabilizzazione dei suoli. Occorre armonizzare e coordinare i tanti livelli di pianificazione oggi esistenti in materia di risorse idriche e applicare strumenti di partecipazione adeguati non semplici consultazioni su piani già chiusi, ma percorsi che individuino, insieme a tutti i soggetti interessati, le criticità e le politiche da mettere i campo per risanare e tutelare le risorse idriche nel nostro Paese».
È difficile concepire come nel nostro Paese possano realizzarsi, con tale noncuranza, crimini verso l’ambiente e la salute che sommati a tante altre storture, ci collocano ai margini dell’Europa se non fuori da ogni dimensione come chi non vuole prendere coscienza di sè e dei problemi reali. Forse il “senso” dell’anomalia italica sta nel mesto incipit del Dossier, che potrebbe benissimo esserne anche la conclusione: «I fiumi italiani, ma anche le falde e i laghi, continuano a essere considerati troppo spesso solo come un pericolo o una minaccia per il rischio connesso con la loro esondazione o un ricettacolo di scarichi non depurati, industriali, sversamenti accidentali, se non una risorsa da sfruttare il più possibile per altri usi accumulando derivazioni, prelievi di acqua o di ghiaia, interventi di regimazione o cementificazione degli alvei. Sono ancora troppo pochi in Italia, i casi in cui si è deciso di investire sui corsi d’acqua attraverso la loro riqualificazione, interventi di rinaturalizzazione, di prevenzione e mitigazione del rischio e insieme di tutela degli ecosistemi».
(fonte: http://www.legambiente.it/sites/default/files/docs/dossier_acqualequalita_2014.pdf)
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