INQUIETI E FLUENTI SODALI

Il noto verso di Ungaretti “Ho ripassato / le epoche / della mia vita”… potrebbe essere sintesi indicativa della trama autobiografica di “Vuoti d’aria” il romanzo di Michele Giardina edito da Prova d’autore. Certo il poeta di Allegria di naufraghi si riconosceva ne I fiumi, il nostro autore nella risacca ondosa e memorante su cui si riflette la sua Perla di Mare. Sin dall’incipit del romanzo, Michele Giardina sa coinvolgere il lettore, rendendolo partecipe degli inediti brani vissuti da Tony Speranza, nome di finzione letteraria, da cui traspare la presenza del narratore-autore, capace di filtrare e selezionare l’universo narrativo attraverso la propria esperienza.

 “Vuoti d’aria” è un’opera narrativa autobiografica: ora annunziata dai vuoti d’aria, disturbo provato all’età di otto anni su una lancitedda volante e superato nel corso delle vicende esistenziali; ora pausata dalle rotte insidiose dei migranti di ieri e di oggi; infine animata dai viaggi real-onirici generati da Perla di Mare, la città dalla luce speciale, che all’alfabeto del mare continua ad affidare le quotidiane sfide della vita.

Anche i personaggi tratteggiati dall’autore connotano il passato e il presente di Tony Speranza che bambino, studente, padre e nonno, attraversa il mondo reale e immaginario con sussulti emozionali, con ironica e dolente apprensione, fino a giungere alla lucida denuncia di mali sociali e alla luminosa soglia della speranza di un altrove.

Nelle pagine di godibile e agevole lettura, la voce narrante fa rivivere perciò volti e memorie parentali, incrocia corpi e nomi marginalizzati da una regia occulta, sperimenta maree esistenziali, che a mio parere, restituiscono la statura umana ed etica dello scrittore, l’onestà intellettuale del giornalista e la consapevolezza della fragilità della vita e del suo stupore.

L’odierna presentazione a Scoglitti, luogo consanguineo a Pozzallo poiché Caricatore vinicolo come già annotavano nel 1808 l’abate Paolo Balsamo nel suo viaggio nella Contea di Modica e nel 1812 Domenico Sestini, l’archeologo e viaggiatore fiorentino, si legittima soprattutto per una forte motivazione affettiva.

Nel memoriale degli affetti familiari rientra a pieno titolo Natale, originario di Scoglitti appunto, che ha provato, come il padre di Tony, l’emigrazione transoceanica. Tale richiamo mi consente di chiarire il linguaggio essenziale, incisivo e fluente adottato dall’autore nella caratterizzazione dei personaggi. Coraggioso, intraprendente, ambizioso e megalomane, Natale.. vive come Napoleone, dall’altare alla polvere”.

Altri sono i registri linguistici dei dialoghi, le cui incursioni dialettali risultano di efficace resa identitaria, in quanto animati da suoni e voci archiviati nel grande libro del patrimonio immateriale isolano. L’adozione di variegati registri linguistici mi sollecita a riferire, sia pure sinteticamente, le riflessioni manifestate nelle presentazioni dell’opera narrativa di Michele Giardina tenutesi a Modica. Domenico Pisana, presidente del Caffè Letterario “S. Quasimodo”, ha fatto riferimento al reportage letterario, dissertando sul confine tra giornalismo e letteratura. Tuttavia ad approfondire le ragioni del percorso letterario del Giardina, dal suo esordio nel 2004[1] fino al presente Vuoti d’aria, è stato il giornalista Giovanni Criscione, che ha rilevato come lo scrittore pozzallese, libero da condizionamenti di generi letterari, non solo ha saputo dare voce agli eroi senza medaglia, ma ha anche affrontato le questioni ancora aperte sulla giustizia, sui migranti e sui diffusi mali sociali. Lo storico Giuseppe Barone dell’Università di Catania ha associato le vicende autobiografiche del protagonista Tony Speranza all’autobiografia della città di Pozzallo, frontiera euro mediterranea, terra di emigranti e oggi porto d’inarrestabili flussi migratori. La mia riflessione non pretende di colmare vuoti, solo per restare nella metafora del titolo, né di essere di parte in nome dell’amicizia di lungo corso che mi lega allo scrittore. La mia attenzione è stata catturata dai due “inquieti e fluenti sodali”, che s’insinuano nella narrazione come seme e linfa d’ispirazione. I due personaggi cui alludo sono il cielo e il mare, non come elementi naturali o vedute panoramiche, ma come compagni del viaggio interiore che Michele Giardina intraprende alla ricerca di se stesso.

Un’analogia rivelatrice del mio assunto si può ricavare dalla pagina iniziale: come il triste e tenebroso muro […] che dopo lunga e cupa presenza, sarà ruspato per recuperare alla città un prezioso quadro d’autore, firmato nature, pennellato con i colori del cielo e del mare, così i vuoti d’aria, che hanno fermato il volo giocoso di Tony bambino, saranno abbattuti cicatrizzando perdite, turbamenti, inquietudini e ostacoli e soprattutto accettando i limiti umani che rendono palpabili la grandezza dell’essere e dell’esserci.

Esplicitamente il protagonista Tony va incontro al tempo fino a confidare:

Superati gli ‘anta, quasi senza accorgersene, (Tony) avverte l’intima esigenza di perfezionare una sua personale tecnica meditativa. […….].quando sente il bisogno di volare alto, grazie allo straordinario aiuto del cielo e del mare, che gli mettono a disposizione inediti, specialissimi strumenti, riesce a individuare con precisione le coordinate per intraprendere una fantastica navigazione tra sogno e ontologia dell’esistenza.

Credo che a padroneggiare tali specialissimi strumenti possa essere solo un figlio del mare, qual è il nostro scrittore, interprete naturaliter del pluriverso di questo immenso gigante dalle braccia spumose, che consuona con i cerchi d’aria del cielo.

  “Al cielo e al mare, suoi amici di sempre, […] ama confidare travagli interiori e cangianti stati d’animo”.

L’orizzonte mediterraneo popoloso di miti e di storie cattura il protagonista con la complicità favorita dalle profondità del cuore e dell’abisso.

Seduto sulla “sua” panchina del lungomare Pietrenere, incontra il cielo e il mare, straordinari complici di affascinanti momenti di introspezione e sogna ad occhi aperti.

Cielo e mare diventano  animate presenze che orchestrano la polifonia della vita.

Non è solo la palese indicazione dei nomi a far campeggiare i fluenti sodali. Il mare convibrando con il cielo gli ispira l’originale prosa poetica, riportata sulla quarta di copertina. A enucleare la flessuosità testuale concorrono le voci verbali come attraversa, assiste, partecipa etc. che dilatano vissuto e immaginario, scoprendo nello stesso tempo la struttura portante del suo libro: gli echi incalzanti del passato, la narrazione del presente e la versione letteraria per opera di Tony Speranza.

A ben riflettere Michele Giardina con il suo raccontarsi e raccontare esula dai consueti generi narrativi, poiché la sua cifra stilistica e i suoi registri linguistici generano un’originale tessitura, intrisa di storie, di eventi, di riflessioni, intorno a cui gravitano le voci degli eroi quotidiani, voci restituite al cielo e al mare, catasto d’oceanica bellezza e verità per l’intera famiglia umana. In omaggio alla terra che stasera ci ospita, vorrei concludere con le parole di Gesualdo Bufalino, il vagabondo amoroso, che disvela la forza evocatrice del grembo talassico, da cui si è originato il viaggio interiore dello scrittore pozzallese, quella viam agere della plurima navigazione umana : «Tu mare, innumerevole lingua …..Mare, che devo dirti, se non che selvaggio mi affa­scini e tenero m’innamori? E che ogni volta mi sembra mirandoti, che niente, meglio del tuo essere e non essere e riessere, somigli alla na­tura di Dio?»[2].

 

Grazia Dormiente

Scoglitti,  9 maggio 2014

 

 


[1] Michele Giardina, corrispondente da Pozzallo del quotidiano catanese «La Sicilia», ha esordito come scrittore nel 2004 con “Cronache e riflessioni di un giornalista di provincia”, cui sono seguiti i romanzi “La risacca” (2009), “Mare forza 7” (2010), “L’uomo di borgata” (2011), editi da Prova d’Autore. Nel 2012 ha ricevuto il Premio Sicilia per la narrativa.

 

 

[2] G. Bufalino, La bellezza dell’universo, in L’uomo invaso, Bompiani, Milano 1986, p. 138

 

 

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