In morte di Antonio Aurnia. La sua città dopo tre anni sempre più piccina e “divisiva”

Ricorre in questi giorni un triste anniversario. Tre anni fa la città di Modica perdeva uno dei figli tra i più visionari, pasionari, emancipati e sognatori che abbia mai avuto: Antonio Aurnia. La città lo pianse molto, il lutto fu vissuto dalla città come un dolore collettivo. Troppo ingiusta la sua morte e troppo carica di interrogativi, dubbi e misteri la sua scelta. Il tempo, come sempre, mitiga nei più, il sentimento di contrizione, per passare a quello più comune e per certi versi fisiologico, di tristezza. Ed oggi ricordando Antonio, è la tristezza a farla da padrona soprattutto osservando cosa sia diventata nel frattempo Modica. Una città che magistralmente, e non poteva essere altrimenti, solo qualche giorno fa ha descritto il prof. Uccio Barone così:

“Una città divisiva, Modica, afflitta da gelosie ed invidie personali, spaccata in piccole consorterie pre e post politiche , nemiche alle altre ed anche a se stesse. Un paese nel quale ci permettiamo di avere un Consorzio del cioccolato che si contrappone alla storica Dolceria Bonajuto, una nuova Pro Loco che non riconosce la precedente Pro Loco, un Museo degli antichi mestieri doppione di un altro Museo delle tradizioni popolari, una Società modicana di Storia Patria che nasce contro l’ omologa Società provinciale di Storia Patria. Una città nella quale se uno studioso scrive un libro di storia o di poesia non invita gli altri studiosi per timore di confrontarsi. Modica è un paese in guerra , in cui tutti sono armati contro tutti, in cui tutti parlano male di tutti e tutti nello stesso tempo offendono e si sentono offesi . Bisognerebbe cambiare registro , tornare ad unirsi, a ricercare l’ impegno di un comune sentire, a ritrovare l’ orgoglio di partecipare ad una comune identità culturale. Prima che sia troppo tardi, prima che si spezzi per sempre il tenue filo che lega le vecchie e le nuove generazioni”.

Bisognerebbe cambiare registro, scrive il fine intellettuale e amico Uccio Barone. Mi sia permessa la libertà di scrivere che forse il sacrificio di Antonio, anche nei suoi più intimi convincimenti, sarebbe dovuto servire a questo: a cambiare registro appunto.

Ed invece a Modica pare che un pò tutti siamo stati contagiati dopo il covid da un nuovo e potente virus che è quello che conduce alla sindrome di Procuste inducendo a provare solo disprezzo ed invidia per coloro che hanno maggiori capacità e talento, sminuendo se non addirittura sabotando l’altro.

Il nome di questa sindrome proviene dalla mitologia greca. Procuste, infatti, secondo il mito era un locandiere che, dopo la cena, permetteva ai viandanti di dormire nella sua locanda. Tuttavia, voleva che i viandanti si adattassero perfettamente alla lunghezza del letto a disposizione. Per questo amputava braccia o gambe a chi sporgeva o stirava le estremità, legandole al letto, a chi era più piccolo.

Ed ecco plasticamente descritta da Uccio Barone la città di Modica. E la responsabilità è di tutti e chissà se, ripensando in questi giorni ad Antonio Aurnia, riusciremo nel complesso esercizio di riuscire ad essere meno spietati verso gli altri e un pò più critici verso noi stessi.

Almeno ci illuderemo che il suo sacrificio non è stato vano!

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