IL VINO HA SMARRITO IL SUO TERRITORIO D’ORIGINE?

Il vino ha subito enormi cambiamenti negli ultimi decenni. In particolare è dagli ultimi cinquant’anni che si sono verificati così tanti cambiamenti nel campo dell’enologia, da rendere il vino odierno quasi irriconoscibile in confronto a quello del passato. Se da una parte questi mutamenti hanno portato un notevole alzamento della qualità del prodotto vino, come la quasi scomparsa dei vini con spunto acetico, propinato da alcuni come caratteristica della tradizione, dall’altra si assiste a un pericoloso processo di standardizzazione, che rende sempre più labile il legame con il territorio. Probabilmente è impossibile, almeno oggi, scindere totalmente il vino dal suo territorio d’origine. Un vino proveniente da una zona particolarmente soleggiata avrà sempre una maggiore quantità di alcol rispetto a un vino proveniente da una zona meno soleggiata. Il rapporto tra vino e territorio, però, non si limita soltanto alla quantità di alcol presente, ma è dettato, soprattutto nei vini di carattere, dal suo bagaglio gusto-olfattivo, che è il risultato del rapporto tra le diverse varietà delle viti e dalle condizioni pedoclimatiche, che ne modellano il  carattere in determinate situazioni. Il vino contemporaneo sta andando sempre più incontro a questo fenomeno di globalizzazione del gusto, che fa a meno di questo specifico rapporto tra vino e territorio.

Ovviamente ciò non significa assolutamente che la produzione odierna mantenga come unico legame tra  vini e territorio la provenienza d’origine scritta nell’etichetta. Però è innegabile che vari produttori, nel tentativo di emulare etichette di successo, abbiano finito per addomesticare eccessivamente certe caratteristiche, che erano il segno di una particolarità, che soltanto il proprio territorio riusciva a riflettere nel vino.

Questo fenomeno non è assoluto, ma non è neanche così difficile imbattersi in vini provenienti da continenti diversi, che presentano caratteristiche troppo simili tra loro.

Parte di ciò è da imputare anche alla scelta delle varietà di viti che si coltivano. Viti come il merlot, il cabernet sauvignon e lo chardonnay sono praticamente presenti in tutti i continenti e in tutti i paesi produttori di vino. Se oltre a coltivare le stesse viti, si cerca anche di produrre i vini allo stesso modo, è ovvio che alla fine finiscano per assomigliarsi fin troppo.

L’Italia non è esente da questo fenomeno, ma fortunatamente l’enorme patrimonio ampelografico, che in Italia conta circa 400 varietà di vitigni, permette ancora al nostro paese di avere una produzione abbastanza diversificata. Certo anche questa diversificazione alcune volte è stata sfruttata come mera operazione commerciale. Basti pensare alla moda di proporre vini prodotti in purezza da vitigni dai nomi bizzarri, con lo scopo esclusivo di attirare l’attenzione del consumatore. Vitigni questi, che spesso, giustamente, in passato, erano miscelati con altri vitigni e non si era mai pensato di vinificarli in purezza, poiché presentavano caratteristiche non del tutto ottimali.

L’aspetto più assurdo di questo fenomeno di globalizzazione è che il tema del legame con il territorio è tra le principali tematiche del marketing enologico, ma poi quando si passa ai fatti, questo legame in molti casi lo si tenta di annullare. Sembra insomma che tutti siano interessati a sentire parlare del rapporto tra vino e territorio, ma nel momento della degustazione cercano nel bicchiere sensazioni e odori già conosciuti.

 

 

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