IL SESSO

La mitologia del sesso che si è affermata, negli ultimi anni, è direttamente derivata dalla concezione puberale secondo la quale si desidera soltanto qualcosa di straordinariamente bello (anche se se ne può ammettere la soggettività), mentre si prepara il terreno della scelta oggettuale mettendo in cantiere tutte le pratiche estetiche e salutiste del caso. Non è minimamente messo in conto che si possa desiderare qualcosa o qualcuno per effetto dell’intensità – di una relazione, di un odore, di un ricordo – piuttosto che per la perfezione di una corrispondenza a canoni esterni. Come a dire che il terreno più fertile del desiderio è quello della relazione e di ciò che si libera dentro di essa e fuori dalla tirannia del visage e del fitness.

Corpi che si sfiorano tangenzialmente, che si annunciano in una sorta di esatta declamazione e che non si incontrano per mancanza di materia pulsionale, sbilanciato com’è dalla parte della razionalità il rapporto fra i due sessi: una dimensione antipodica rispetto alla cultura liberatoria di Woodstock, dove desiderare era aprirsi  a una dimensione di respiro profondo (strapieno di odori e di essenze oppiacee) e di visceralità sublimata.  Il sesso nell’era di internet è di fatto coincidente con gli emoticons del linguaggio degli short messages: faccine e occhietti che semplificano, riducono e però tentano l’impresa disperata di emoticare l’anoressia sostanziale del desiderio.

I media sono traboccanti di queste spoglie delle antiche divinità: corpi, visi, posture, sguardi ripropongono incessantemente l’esatta misura di come e quanto si debba desiderare, ma soprattutto di cosa: niente che abbia a che fare con una unità di misura termica – caldo, bollente, bruciante –  bensì solo ed esclusivamente con una unità di misura spaziale – centimetri, rapporti, geometrie, topologie.

In questo dominio assoluto dell’immagine ciò che è definitivamente sacrificata sembra essere la capacità di godere, che nasce fondamentalmente dal fuoco che scaturisce dallo sfregamento di due corpi, di due sguardi, di due desideri.

Forse è per questo che è sempre più improbabile, nel rapporto fra i due sessi, quella qualità speciale dell’amicizia che contempla la possibilità di un incontro erotico: tutto è governato dalla logica semiotica e classificatoria del tutto o niente, o amici o amanti, essendo il desiderio destinato ad assoggettarsi al vincolo della promessa o – peggio – alla clausura del contatto.

In ritardo rispetto alle immagini che pretende di evocare, il corpo desessuato della cultura scopofila arranca nel tentativo di mantenere quanto promesso e – non facendocela – si disciplina, si irreggimenta, si logicizza in una postura rappresentativa: l’immobilità (nessun corpo patinato dei media è raffigurato in movimento)!

Sesso come mancanza di appetito, che si balocca con l’eleganza della nouvelle cousine, non rimane che un appuntamento ‘a la carte, da consumare tenendo rigorosamente conto dei costi e della finale addizione.

Anche qui le forme che imperano sono quelle di un categorico vuoto del senso delle cose, al punto che ci si può persino sorprendere in una stralunata incomprensione del come sia possibile che due individui brutti si desiderino: ennesima scotomizzazione della sorgente reale della sessualità umana, la relazione.

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