IL RUOLO CHIAVE DELLA PROTEINA RANKL NEL METABOLISMO DEL GLUCOSIO

È sorprendente come una ricerca scientifica possa protrarsi con tenacia nel tempo e nello spazio. È il caso della recente scoperta che vede la proteina RANKL come chiave nella genesi del diabete portando alla malattia attraverso l’induzione di processi infiammatori. La ricerca è iniziata intorno al 1990 e pubblicata recentemente sulla prestigiosa rivista Nature Medicine col titolo “Blockade of receptor activator of nuclear factor-κB (RANKL) signaling improves hepatic insulin resistance and prevents development of diabetes mellitus” (Published online 10 February 2013). La scoperta è il frutto di ricercatori dell’Università di Cambridge, della Harvard University di Boston e del gruppo di ricerca dell’Università Cattolica – Policlinico Gemelli di Roma coordinato dal professore Andrea Giaccari. Lo studio ha preso le mosse da una scoperta di ricercatori dell’Ospedale di Brunico (Bolzano), in collaborazione con ricercatori delle Università di Innsbruck e di Verona, fra cui il professor Enzo Bonora.

La scoperta è di enorme importanza perché potrebbe aprire la strada ad una terapia innovativa in grado non solo di trattare, ma forse anche di prevenire il diabete di tipo 2.

Determinanti furono gli studi epidemiologici, di più di vent’anni fa, fatti sulla popolazione di Brunico (Bolzano), che rivelarono come persone con una maggiore quantità di RANKL nel sangue presentavano un maggiore rischio di sviluppare il diabete 2 (elevate concentrazioni di RANKL conferiscono un aumento del rischio pari al 300-400% di ammalarsi).

«RANKL è una proteina che svolge un ruolo importante nei processi di infiammazione presenti in malattie come l’artrite reumatoide e l’artrite psoriasica – spiega il professor Enzo Bonora dell’Università di Verona, Presidente eletto della Società Italiana di Diabetologia (SID) – gli stessi processi di infiammazione sono coinvolti nella patogenesi del diabete e delle malattie cardiovascolari».

In seguito, ricercatori tedeschi  modificarono geneticamente alcuni topi in modo che esprimessero maggiore o minore concentrazione di RANKL, confermando che la proteina è effettivamente coinvolta nel metabolismo del glucosio.

«È stato anche osservato – spiega il professor Andrea Giaccari dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e consigliere della società Italiana di Diabetologia (SID) – che, nei topi resi diabetici, bloccare RANKL comporta un miglioramento delle alterazioni responsabili del diabete. In particolare bloccare questa proteina aumenta la capacità del fegato di rispondere all’insulina e riduce l’eccessiva produzione epatica di glucosio, un’alterazione metabolica tipica del diabete tipo 2».

Infine, presso l’Università Cattolica-Policlinico A. Gemelli di Roma i ricercatori hanno utilizzato un modello murinico a dieta grassa (simile alla dieta scorretta che porta molte persone a sviluppare diabete), dimostrando in modo inequivocabile che diminuendo la concentrazione ematica di RANKL era possibile prevenire la tipica condizione dei picchi di insulina e di ridotta sensibilità dell’organismo a questo ormone (insulino-resistenza) che è il primo passo verso la comparsa del diabete.

Tutto ciò è importante perché rappresenta la prima dimostrazione clinica del ruolo dell’infiammazione cronica nell’insorgenza del diabete tipo 2, su modello animale.

«La migliore definizione del ruolo di RANKL – conclude il professor Bonora – e ulteriori dettagli sui meccanismi molecolari coinvolti potrebbe permettere, in futuro, di sviluppare anche nuovi farmaci per il diabete». 
«I risultati  – commenta il professor Stefano Del Prato, Presidente della Società Italiana di Diabetologia (SID) – sono un esempio di quanto la ricerca può e deve fare nella lotta contro la malattia diabetica e del valore della ricerca italiana. Se fino a pochi anni fa la terapia del diabete era il risultato di osservazioni casuali (basti pensare che le sulfoniluree sono nate dall’osservazione degli anni ’30 di alcuni soggetti che trattati con sulfamidici per tifo avevano presentato ipoglicemia) oggi la ricerca dei rimedi passa attraverso l’identificazione di specifici meccanismi coinvolti nello sviluppo del diabete e quindi della possibilità di correggerli. Risultati come quelli pubblicati in questo articolo aprono quindi nuove vie per mettere a punto terapie sempre più mirate, efficaci e con il minor numero di effetti collaterali, ma soprattutto offre la possibilità di personalizzare meglio la terapia del singolo paziente. Rimane solo da sperare che la ricerca italiana non venga ulteriormente mortificata dalla poca attenzione delle Istituzioni e che trovi sempre maggiore sostegno da parte di tutti».

La proteina RANK ligand è una citochina che si lega ai recettori RANK presenti sugli epatociti e sulle cellule beta del pancreas deputate alla produzione di insulina. Questo legame va ad attivare il fattore di trascrizione Nuclear Factor B (NF-kB) che arrivato nel nucleo “accende” i geni che innescando una  reazione infiammatoria con conseguente insulino-resistenza nel fegato e apoptosi ( morte) delle cellule beta pancreatiche.

«In condizioni normali – spiega Giaccari – l’insulina serve a far entrare il glucosio nelle cellule. In alcune situazioni (obesità, sedentarietà, infiammazione cronica e molte altre) le cellule del nostro corpo, in particolare dei muscoli e del fegato, tendono a rifiutare l’ingresso del glucosio nella cellula, facendolo restare nel sangue. Il pancreas, per evitare che salga la glicemia, comincia a produrre più insulina, spingendo l’eccesso di glucosio nelle cellule adipose. Questa condizione di glicemia normale ed insulina alta viene definita “insulino-resistenza”, in grado di generare ulteriore infiammazione e, in alcuni casi, diabete».

Nella pratica clinica ci sono già dei farmaci anti-RANKL: il pioglitazone e gli ACE-inibitori che hanno un effetto di prevenzione nei riguardi della comparsa del diabete di tipo 2 anche attraverso la riduzione dell’attività di RANKL. La metformina, un altro farmaco cardine nella terapia del diabete ha anche un blando effetto anti-RANKL, in particolare a livello delle ossa. Il denosumab, farmaco anti-RANKL per il trattamento dell’osteoporosi nelle donne in menopausa e per il trattamento di metastasi ossee da alcune forme tumorali e l’amlexanox, diretto contro due citochine infiammatorie (l’IKK-epsilon e la TBK1), utilizzato in Giappone per il trattamento dell’asma e per le afte della bocca. Quest’ultimo farmaco è stato testato su topi diabetici, sui quali ha dato risultati molto interessanti in termini di calo della glicemia.

«Esistono già dei farmaci che agiscono su Rankl – spiega il professor Giaccari – ma sono destinati unicamente alla cura di malattie reumatiche. È molto probabile che questi farmaci abbiano anche un effetto positivo sulla comparsa del diabete, ma i loro effetti collaterali ne sconsigliano l’uso per questo fine. Il vantaggio di questa ricerca è che ci si è molto avvicinati alla comprensione del legame infiammazione-diabete. È molto probabile che questa scoperta possa portare allo sviluppo di nuovi farmaci destinati direttamente alla prevenzione del diabete e a tutte le condizioni che portano con sé l’insulina alta».

                                                                               

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