IL RICORDO DI DON MILANI A POZZALLO

In occasione del cinquantesimo anniversario della pubblicazione di Lettera a una professoressa sarà ricordato a Pozzallo don Lorenzo Milani con un convegno, organizzato dall’Associazione per la gioventù Giorgio La Pira e dal Club per l’Unesco di Pozzallo.

Il convegno si terrà venerdì 5 maggio alle 17 presso lo Spazio Cultura Meno Assenza.

All’evento parteciperà il dottor Rocco Agnone, già Provveditore agli Studi di Ragusa, che terrà una relazione sull’attualità del pensiero di don Milani.

Moderatore sarà il giornalista Angelo Di Natale. I lavori saranno introdotti dal professore Carmelo Nolano, presidente del Club per l’Unesco di Pozzallo e dell’Associazione per la gioventù Giorgio La Pira.

Testimone d’eccezione sarà Agostino Burberi uno dei primi alunni di don Milani a Barbiana e oggi vicepresidente della Fondazione don Milani.

Agostino Burberi conobbe don Milani all’età otto anni; per lui e per gli altri ragazzi di Barbiana l’incontro con il sacerdote fu l’occasione per non fare lavori pesanti in campagna o nelle stalle. L’arrivo del giovane sacerdote nel paesino di montagna del Mugello fu per i ragazzi un’occasione di cambiamento: essi iniziarono a frequentare la scuola “ a tempo pieno”   per  12 ore al giorno,  al mattino la scuola elementare e al  pomeriggio il doposcuola di don Milani. 

A distanza di cinquanta anni il contesto culturale, sociale ed ecclesiale è cambiato,ma  i valori e principi pedagogici ed  educativi presenti in Lettera ad una professoressa  sono sempre  di grande attualità.

Don Milani sviluppò i suoi personali principi pedagogici e il suo metodo d’insegnamento a Barbiana, un borgo sperduto dell’Appennino dove vivevano 39 persone, dove arrivò il 7 dicembre del 1954.

L’idea di scrivere il libro nacque in seguito alla bocciatura agli esami per il conseguimento dell’abilitazione magistrale di due ragazzi che avevano studiato a Barbiana, ragazzi che avevano sperimentato un modo diverso di fare scuola.

Cara signora, lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti.

Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che «respingete». Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate.

Nella lettera emerge e viene analizzato uno dei principali problemi della scuola italiana del tempo e anche di oggi: .. la scuola ha un problema solo: I ragazzi che perde.

Oggi all’insuccesso scolastico si unisce il problema dell’abbandono, ogni anno circa 50 mila studenti di scuola secondaria di primo e secondo grado abbandonano gli studi, e probabilmente la critica che don Milani farebbe al sistema scolastico potrebbe essere:  “ La scuola: un ospedale che cura i sani e respinge i malati.”

La finalità educativa della scuola per don Milani non era la semplice acquisizione di nozioni, ma anche lo sviluppo della capacità critica e nello stesso tempo la maturazione di un forte senso di solidarietà.

Don Milani scrive in Esperienze Pastorali: La povertà dei poveri non si misura a pane, a casa, a caldo. Si misura sul grado di cultura e sulla funzione sociale.

Non però dobbiamo dimenticare – scrive Gilberto Aranci su Dizionario di Pastorale Giovanile, LDC, 1992 – che dedicarsi alla scuola nasceva da una sua precisa scelta evangelica e sacerdotale… Non era un doposcuola, ma aveva come scopo principale offrire gli strumenti culturali, in primo luogo la lingua, per il riscatto sociale e politico dei giovani, altrimenti costretti in condizioni di inferiorità e di minorità.

Mons. Giovanni Orlando scrive in Don Milani e la scuola della Parola: L’uomo è ciò che è per la sua parola…In un noto passo di EP, don Milani rivelando l’ansia profonda della sua ricerca religiosa e pastorale, osserva: “ E’ tanto difficile che uno non cerchi Dio, se non ha sete di conoscere. Quando con la scuola avremo risvegliato nei nostri giovani operai e contadini quella sete sopra ogni altra sete e passione umana, portarli poi a porsi il problema religioso sarà un giochetto “…in tutte … le esperienze – di don Milani – viene colta fortemente la potenza della parola, la sua universalità , il suo valore pedagogico; nella misura in cui si insegna a parlare si insegna tutto. Ma per insegnare a parlare ci vuole la scuola. E la scuola, come egli sottolinea spesso, è tut6to un modo di essere.

E’ necessario ricordare che le radici del don Milani educatore son profondamente radicate nella fedeltà a Dio, all’uomo e nell’amore per la Chiesa. Don Milani vive la sua missione sacerdotale nell’impegno di maestro.

Mons. Giovanni Orlando afferma che dalla figura del Priore di Barbiana,  traspare la coscienza di un educatore che ha avuto il coraggio di scegliere gli ultimi, di scommettere sui non garantiti, perché questo significava scommettere sull’uomo in nome di quel messaggio di salvezza destinato a tutti: il Vangelo.

L’attenzione di don Milani per gli ultimi emerge nei suoi scritti, in Lettera a una professoressa scrive: Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto sul suo conto.

Don Milani è stato un uomo, un sacerdote eccezionale che visse un’appassionata ma sofferta esperienza pastorale vissuta tra Chiesa, cultura e scuola.

Nel 1984 Indo Montanelli scriveva: Cosa aspetta la Chiesa a farlo santo ?

Cosa ha da dirci oggi don Milani ? Qual è la sua eredità ?

Una possibile risposta ce la da mons. Orlado: Don Milani ci ha insegnato e ci insegna che sperare per dare dignità all’impegno educativo, per aiutare la scuola a essere scuola è un compito nobile e degno del Cristiano e non è altro dall’evangelizzazione … La proposta educativa del priore di Barbiana è un invito ad essere creativi: nella vita e della vita; quindi un invito ad essere protagonisti della storia e nella storia.

In Lettere don Milani scrive: La scuola siede tra passato e futuro e deve averli presenti entrambi, il maestro deve essere, per quanto può, profeta, scrutare i “ segni dei tempi “ indovinare nei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in modo confuso.

Il 23 aprile scorso Papa Francesco in un videomessaggio ha dichiarato: Come educatore ed insegnante egli ha indubbiamente praticato percorsi originali, talvolta, forse, troppo avanzati e, quindi, difficili da comprendere e da accogliere nell’immediato. La sua educazione familiare, proveniva da genitori non credenti e anticlericali, lo aveva abituato ad una dialettica intellettuale e ad una schiettezza che talvolta potevano sembrare troppo ruvide, quando non segnate dalla ribellione. Egli mantenne queste caratteristiche, acquisite in famiglia, anche dopo la conversione, avvenuta nel 1943 e nell’esercizio del suo ministero sacerdotale…

Si capisce questo ha creato qualche attrito e qualche scintilla, come pure qualche incomprensione con le strutture ecclesiastiche e civili, a causa della sua proposta educativa, della sua predilezione per i poveri e della difesa dell’obiezione di coscienza. La storia si ripete sempre. Mi piacerebbe che lo ricordassimo soprattutto come credente, innamorato della Chiesa anche se ferito, ed educatore appassionato con una visione della scuola che mi sembra risposta alla esigenza del cuore e dell’intelligenza dei nostri ragazzi e dei giovani…

 La sua era un’inquietudine spirituale alimentata dall’amore per Cristo, per il Vangelo, per la Chiesa, per la società e per la scuola che sognava sempre più come “ un ospedale da campo “ per soccorrere i feriti, per recuperare gli emarginati e gli scartati. Apprendere, conoscere, sapere, parlare con franchezza per difendere i propri diritti erano verbi che don Lorenzo coniugava quotidianamente a partire dalla lettura della Parola di Dio e dalla celebrazione dei sacramenti, tanto che un sacerdote che lo conosceva molto bene diceva di lui che aveva fatto indigestione di Cristo.

 

 

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