IL PREFETTO VARDE’ HA APERTO I LAVORI DEL CONVEGNO SULLA VIOLENZA IN FAMIGLIA

“La famiglia rappresenta quel microcosmo che rispecchia per molti versi la complessità delle relazioni sociali in cui i rapporti cambiano velocemente, anche dal punto di vista conflittuale e competitivo. I rapporti familiari sono mutati, oggi ognuno rivendica la propria autonomia ed indipendenza instaurando dei rapporti dialettici che, se gestiti in modo corretto, costituiscono una ricchezza perché consentono l’affermarsi di ogni personalità arricchendo anche l’unità familiare. Se non vengono gestiti adeguatamente si ricade, però, in situazioni patologiche che generano violenza, diretta soprattutto ai minori e alle donne”. E’ quanto ha affermato, ieri pomeriggio, il prefetto di Ragusa, Annunziato Vardè, dando il via ai lavori della prima delle due giornate del convegno “La violenza in famiglia: aspetti psicologici e legali”, promosso dall’Associazione psicologi psicoterapeuti Sicilia con l’Ordine degli avvocati di Ragusa ed il patrocinio e il contributo dell’Ordine degli psicologi della Regione siciliana. “Proprio il fenomeno del femminicidio oggi appare di tremenda attualità – ha aggiunto il prefetto – i dati parlano di una morte ogni tre giorni. Si deve fare il possibile per contrastare questa violenza. Sul piano repressivo, occorre adeguare la legislazione e pensare a nuovi strumenti che possano efficacemente contrastare il fenomeno. Ma non basta. Occorre agire anche sul piano della prevenzione, diffondere una nuova cultura adeguata all’evoluzione dei rapporti nelle famiglie ed una nuova cultura etica al rispetto degli altri. Questo il nostro impegno”. Il confronto è stato moderato dal consigliere dell’Ordine degli avvocati Enrico Platania. “Le forze di polizia spesso sono impreparate – ha aggiunto il questore Giuseppe Gammino – ad interpretare questo fenomeno così complesso. Rappresentiamo uno degli attori del sistema, intervenendo sul problema spesso chiamati da estranei alla famiglia. telefonate anonime, vicini di casa. Nei piccoli centri le denunce sono più frequenti, probabilmente perché permangono quei sentimenti di solidarietà e di attenzione verso gli altri. La denuncia rappresenta però un vero momento di coraggio quando a farla è la vittima o uno spettatore interno alla famiglia. Questo momento necessita di una preparazione approfondita anche per il nostro personale. Il confronto con le categorie oggi coinvolte rappresenta un passo avanti verso la giusta dimensione di collaborazione nella prevenzione della violenza”. “L’approccio psicologico – ha continuato il comandante provinciale dell’Arma, il tenente colonnello Salvatore Gagliano – ancor prima di quello forense, ci potrebbe coadiuvare per recepire quei segnali di allarme del malessere interno alla famiglia. Noi, come forze dell’ordine, siamo infatti spettatori di una fase finale della violenza mentre il supporto degli psicoterapeuti potrebbe fornire input atti alla prevenzione ed alla creazione di nuove misure di contrasto”. Platania ha sottolineato che “il senso di questo convegno è proprio cercare di smussare le differenze di approccio da parte delle due professioni per lavorare in sinergia con le diverse conoscenze e poter comprendere appieno questo fenomeno che attiene al comportamento dell’uomo. Non avremo la pretesa di fornire risposte precise – ha aggiunto – ma nuovi strumenti interpretativi per chi opera nel campo del diritto per il contrasto alla violenza”. Una panoramica di tutti quelli che sono gli aspetti legati al fenomeno della violenza in famiglia è stata sviluppata nel corso dell’intervento del presidente Apps, Antonino Marù, il quale ha delineato la cornice entro cui definire la violenza, quando questa viene individuata come fenomeno e cosa esso può contenere. “Si confrontano due professioni che hanno come confine di contatto comune la persona nelle sue condizioni di benessere o di malessere. Alla base della violenza c’è sempre una problematica psicopatologica – ha chiarito Marù – condizione che sfocia in comportamenti che invadono il settore della legalità e quindi della giustizia. La violenza diventa fenomeno quando si tratta di un comportamento restio al cambiamento, di grande impatto sociale. Per invertirlo occorre quindi un intervento culturale che riaccenda l’attenzione della comunità educativa. La famiglia non è più considerata solo il luogo degli affetti, della comprensione, della complicità. Se diventa spazio non sicuro, la causa è senza dubbio da individuare in una relazione malata tra due coniugi. A livello istituzionale non esiste una sistematica ed esaustiva diffusione di dati perché si tratta di un ambito privato, che anche le vittime cercano di difendere ad ogni costo. Sappiamo qualcosa circa il femminicidio. Nel 2012, ben 14mila donne hanno subito violenze, l’80% di tipo domestico. Sempre nel 2012, 124 donne sono state uccise e 47 sono state vittime di tentato omicidio. Il 70% da parte di partner o ex partner. Molto poco si sa viceversa circa la violenza subita dagli uomini. In ogni caso il confine che discrimina la violenza dal comportamento sereno, varia da persona a persona, da contesto a contesto. Importante anche la capacità personale di percepire ed interpretare determinati atti e l’entità delle forme di violenza. Si tratta comunque di una patologia relazionale dalle molteplici e mutevoli sfaccettature che contiene molti aspetti: dal perverso gioco della sottomissione psicologica alla dipendenza fisica, dalla persecuzione alla più brutale violenza. Tentare di intervenire dentro al fenomeno vuol dire comprendere non solo cosa accade nella mente di una persona ma fare luce sulle dinamiche emotivo-relazionali che attivano il complicato processo”.

 

 

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