Il poliziotto vittoriese Giovanni Giudice sarebbe coinvolto nell’inchiesta di Lucauto a Gela

Il poliziotto Gianni Giudice  di Vittoria coinvolto nell’inchiesta su Lucauto, che ha portato al sequestro da parte della Guardia di Finanza di beni per un valore di 63 milioni di euro.

Gianni Giudice -secondo l’accusa- si sarebbe avvalso, in maniera illecita, della sua competenza di Primo Dirigente della Polizia di Stato, in modo particolare quando era in servizio a Gela e successivamente a Caltanissetta e ad Agrigento. È adesso infatti indagato per corruzione, accesso abusivo a sistemi informatici in uso alla polizia e rivelazione di segreto d’ufficio.

Giovanni Giudice fu commissario a Gela a metà anni 2000, poi a capo della squadra mobile di Caltanissetta, in servizio quindi ad Agrigento e infine a Perugia. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Giudice avrebbe passato informazioni riservate ai Luca, accedendo alla banca dati dello Sdi, in cambio del prestito di auto di grossa cilindrata oppure dell’acquisto dei mezzi a prezzi più bassi rispetto a quelli di mercato, o ancora con qualche soggiorno in albergo pagato dai Luca.

Il residence della famiglia Luca a Marina di Ragusa

«Le indagini – ha spiegato il procuratore capo di Caltanissetta Amedeo Bertone – offrono una visione abbastanza grave della crescita del gruppo imprenditoriale Lucauto che per oltre vent’anni ha usufruito del contributo e del finanziamento del clan Rinzivillo che gli ha consentito di conquistare una posizione di monopolio all’interno del settore economico di cui si occupava».

Il marchio Lucauto è riuscito a diventare leader in Sicilia nella vendita di macchine di lusso, mentre nell’immobiliare spicca la realizzazione di due importanti residence a Marina di Ragusa e Gela. Tutti beni finiti sotto sequestro. Di proprietà di Francesco e Salvatore Luca (foto) di Gela e del figlio di quest’ultimo, Rocco.

Il ruolo del poliziotto

«Il ruolo del poliziotto – ha chiarito il procuratore Bertone – è stato quello di vivere una situazione di assoluta compromissione della funzione pubblica nel senso che il funzionario risponde di reati come quello di corruzione, rivelazione di segreti d’ufficio e accesso abusivo nella banca dati dello Sdi. A richiesta o spontaneamente forniva notizie su indagini in corso e in cambio riceveva vantaggi nel prestito a lungo termine di autovetture di grossa cilindrata oppure nell’acquisto di autovetture a prezzi assolutamente inferiori a quelli di mercato e qualche altro favore come la permanenza in alberghi. Le intercettazioni ci restituiscono l’immagine di un gruppo contiguo non solo con la mafia nissena ma anche catanese. In una conversazione telefonica, un componente della famiglia Luca parlando con un esponente mafioso catanese, nel manifestare tutta la sua rabbia per come era stata gestita una pratica, si lamentava e pretendeva il rispetto perché avrebbe fatto “girare” tutta la mafia di Catania, dava cioè macchine in prestito per sfuggire ad eventuali intercettazioni».

Gianni Giudice avrebbe avuto a disposizione una carta di credito di una società gestita dalla famiglia Luca di Gela e con questa avrebbe pagato i pernottamenti in albergo. Avrebbe anche comprato automobili in concessionaria da Lucauto a prezzi irrisori, riconsegnandole e avendone in cambio una stima dell’usato maggiorata.

L’amicizia di Gianni Giudice con Montante

Gianni Giudice aveva fatto una raccomandazione ad Antonello Montante per l’assunzione di una persona. Rispetto a questo fatto fu solo sfiorato dalle indagini, ma mai coinvolto.

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