IL MUSEO ARCHEOLOGICO IBLEO COMPIE CINQUANTA ANNI

Cinquanta anni fa nasceva il Museo Archeologico Ibleo. Voluto dal “basso” nei bassi dell’Hotel Mediterraneo.

Spiego meglio. Da solo qualche anno era stato costruito il grandioso Hotel Mediterraneo, che tutta la Sicilia invidiava a Ragusa. Un palazzo costruito con i più moderni criteri dell’ingegneria del cemento armato, sullo spazio che era stato occupato dalla Centrale Elettrica (anch’essa un vanto della città agraria che da solo qualche decennio era diventata capoluogo di Provincia e da ancora meno la “Texas d’Italia”).

Il proprietario era il più classico ragusano, quel signor Tumino che aveva ben visto il futuro della città e dell’intero circondario. Volle investire in maniera del tutto nuova ed originale i suoi soldi e volle quindi non soltanto costruire un albergo, ma lo volle bello, grandioso, come non se ne erano mai visti nemmeno a Catania o a Palermo.

Perciò commissionò il progetto all’allora più bravo e conosciuto architetto della zona, l’ancora giovane Biagio Mancini, comisano (che sarebbe morto non molti anni dopo, non ancora quarantenne, autore di molti progetti improntati ad una futuristica visione dell’architettura di esterni e di interni).

Nei bassi di quel bel palazzo tutto vetri e mosaici venne allocato il neonato Museo Archeologico Ibleo, frutto di una iniziativa partita appunto “dal basso” (nel senso di iniziativa popolare, di singoli per quanto illustri cittadini).

L’idea era stata in effetti di un ristretto gruppo di intellettuali ragusani appassionati di archeologia e di storia patria, non propriamente dal basso. Il gruppo era formato infatti da Filippo Garofalo (docente di Lettere nelle scuole superiori e soprattutto uomo di enciclopedica cultura umanitaria, glottologo, filologo), Nino Di Vita e Paola Pelagatti (entrambi archeologi, il primo chiaramontano ed allora lanciatissimo verso una carriera che poi sarebbe stata brillante, e la seconda archeologa bolognese ma dipendente della Soprintendenza di Siracusa con la responsabilità delle aree archeologiche ricadenti nella provincia di Ragusa non esistendo ancora la Soprintendenza di Ragusa), Cesare Zipelli (allora direttore generale della ABCD, la maggiore industria dell’intera provincia, grande collezionista ed appassionato – tra le mille altre cose – anche di archeologia) e Nino Paolino (titolare della maggiore libreria della città, grande uomo di cultura tout court ed elemento polarizzatore delle migliori intelligenze cittadine).

Ma appena questo gruppo (si tenga presente che allora, nel 1951, il più grande di loro era Filippo Garofalo, trentacinquenne) si mise in moto per sensibilizzare autorità ed istituzioni verso il problema della giusta e razionale raccolta dei tanti reperti archeologici che provenivano anche dai dintorni di Ragusa e di Ibla, ma soprattutto da Kamarina, ebbe subito positivi riscontri. Soprattutto dalle aziende, davanti a tutte la Banca Agricola Popolare di Ragusa, allora diretta da Giambattista Cartia, poi dalle istituzioni, a cominciare dall’Ente nazionale per l’Incremento turistico (va detto, per onestà, che il responsabile dell’Ente era allora lo stesso Filippo Garofalo) e dal Comune, con in testa l’allora sindaco Di Giacomo.

Il primo cittadino ragusano, a dire la verità, si sarebbe “accontentato” di un semplice antiquarium ma poi, davanti non soltanto alla oggettivamente enorme massa di reperti messi a disposizione quanto alle forti insistenze del gruppo di giovani ma influenti intellettuali, cedette a favore dell’avvio di una pratica che prevedesse l’istituzione di un museo vero e proprio.

Da allora sono trascorsi esattamente cinquanta anni. Il Museo è sempre in quei locali nel frattempo divenuti – almeno a sentire gli esperti che sottolineano la mutazione e il completo rinnovarsi delle tecniche e delle metodologie museali – superati, insufficienti.

Il “nuovo” Museo Archeologico Ibleo è già destinato in locali molto più ampi e funzionali. Sono quelli ricavati all’interno del Convento del Gesù, ad Ibla. Ma come tutti sanno, quei locali non saranno consegnati alla Soprintendenza a breve, essendo al centro di una ormai decennale controversia legata ai lavori di restaurato e ripristino, affidati alla stessa Soprintendenza (ma erano tempi diversi) e mai completati

 

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