IL MERCATO DEL DESIDERIO

Il popolo delle serate trendy si muove con la regolarità di un evento astronomico, non conosce pause né inceppamenti. Coglie ogni occasione per ricompattarsi, dietro la spinta inesorabile di un’urgenza  facilmente riconoscibile: praticare incessantemente, compulsivamente il mercato del desiderio.

In tale surreale mercato, la regola aurea cui si conformano i comportamenti e la mise en scéne è quella che niente vada realmente venduto ma solo esposto, in una eterna condizione di promessa che non si infrange mai nel dono reale.

Il mercato è uno spazio di compra-vendita. Nella sua accezione più evoluta ed astratta, vi si compiono transazioni materiali e simboliche che fanno uso del denaro, come equivalente categorico rispetto al quale ogni differenza è dissolta nel listino. Espongo una mercanzia perché qualcuno la prenda, e mi dia in cambio altra mercanzia o soldi, coi quali posso comprare altra mercanzia.

La moneta corrente del mercato del desiderio non è paragonabile neanche al denaro, che già rappresenta uno stadio avanzato dello scambio fra individui. Essa è piuttosto una sorta di effetto sospeso, la cui funzione è solo quella di segnalare un interesse e non una reale volontà di acquisto!

Uomini e donne espongono le loro magnifiche cose, ognuno intensamente disinteressato all’altro ma, per contro, vivamente interessato al desiderio dell’altro. Un desiderio che deve accendersi e spegnersi nell’arco di un evento, di una serata, col giusto grado di controllabilità e di conformità ai canoni.

E così si vedono sciami di corpi frementi in superficie, dentro i quali agisce una forza raggelante che ha il compito di bloccare ogni vero e proprio scambio. La pelle che contatta la pelle ma il principio della inviolabilità che governa tutto: appare chiaro che l’interesse di chi semina desiderio è raccogliere altro desiderio, che corrisponda al primo nell’esatta negazione dei loro effetti.  Non di questo o di quello voglio il desiderio.  Ma di tutti! E cioè di nessuno!

E’ perfettamente calcolabile che la forma discorsiva che corrisponde a tale rappresentazione sia il chiacchiericcio, assordante, tumultuoso, irresistibile. Non si parla a qualcuno. Ma a tutti. E dunque a nessuno.

Quello strabiliante chiacchiericcio che la sera di Natale, al Bon, ha affogato nel nulla la musica di due deliziosi jazzisti nostrani – Giacomo Caruso e Salvo Scucces – in vena di masochistiche esperienze (o solo ignari animi gentili fiondati nel tempio desacralizzato dei mercanti….).

Le intenzioni dell’organizzazione – di natura benefica – mischiano glamour e arte,  commozione e spocchia, il solito sentimento pietistico dell’animo occidentale e la sostanziale fobia per tutto ciò che è Altro. I musicisti cercano addirittura di attirare l’attenzione del pubblico (?) chiamando al microfono la loro presenza. La nuvola compassata, funerea del mercato del desiderio tracima dai confini della decenza e richiede l’intervento garbato del proprietario del locale, Simone Mazzone, che ha un’idea meritoria ma poi forse dimentica di curarne la corretta realizzazione.

Il mercato del desiderio si chiude molto dopo le ultime note di Jingle Bell, a segnalare il fatto che anche il Natale è in vendita. Mi correggo: in vetrina.

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