IL GIOCO DELLA FELICITA’: “LA SINDROME DI POLLYANNA”

Pollyanna è la protagonista di un romanzo di Eleanor H. Porter, da cui è stato tratto un cartone animato di successo negli anni ‘90. Pollyanna era una bimba a cui erano morti durante l’infanzia i genitori e per questo mandata a vivere a casa di una zia molto scorbutica, acida e severa.

Le disgrazie di Pollyanna erano solo all’inizio: in seguito ad una caduta diventa paralitica ma, ciò nonostante, la sua serenità e felicità rimangono immutate, capace addirittura di far stare meglio chi la circondava, diffondendo ottimismo e voglia di vivere.

A questo punto appare facile o intuibile capire cosa sia la Sindrome di Pollyanna: è l’adottare una particolare visione della vita, una visione esclusivamente positiva, che spinge a trascurare gli avvenimenti negativi per ricordare solo quelli positivi e, soprattutto, riuscire a vedere aspetti positivi anche in eventi negativi, una specie di esasperazione di quella che in termini più “tecnici” potremmo indicare come “ridefinizione in positivo” della situazione.

C’è del buono e del sano in ciò, ma apparentemente; diventa un po’ più problematica la questione nel momento in cui si capisce che per “Pollyanna” esistono solo gli elementi positivi nella vita, in quanto sono solo questi che lei vuole selettivamente ricordare, vivere e comunicare, a discapito di quelli più problematici ma ugualmente costruttivi ed indispensabili nel loro superamento ed elaborazione per lo sviluppo personologico e psicologico, in questo caso completamente ignorati o censurati.

“Il gioco della felicità” era il gioco preferito per la protagonista del romanzo e cartone animato, qui utile nel descrivere ancora meglio chi si trova a “soffrire” di tale sindrome. Il gioco consisteva nel dispensare gratuitamente a tutti ottimismo, attraverso atti di gentilezza e garbo, al fine di influenzare l’altrui benessere. Indispensabile il sorriso, distensione e rilassatezza psicofisica da adottare durante la quotidianità. Una sorta di “addestramento alla felicità e al buon umore”.

Magari funziona, magari non a tutti, ma di fatto viene ad essere un ottimismo non realistico ma “ottuso”. Mentre infatti l’ottimismo realistico è quello che permette funzioni di adattamento ed ha un riscontro positivo su salute e benessere psicologico, quello di tipo “ottuso o idiota”, quello insomma di Pollyanna, non mostra funzionalità e benessere anzi, tutto il contrario, in quanto favorisce l’utilizzo di un “pensiero magico” (non razionale ma superstizioso), riduce la valutazione dei rischi e genera l’autoinganno, costringendosi a mostrarsi sempre “felici”, in una condizione di pensiero infantile e illusorio, secondo il quale andrà sempre tutto bene.

Il vero benessere si acquisisce dalla capacità di saper valutare realisticamente e non illusoriamente le proprie condizioni, sapendole quindi accettare e fronteggiare, con la consapevolezza che alle volte, ma non sempre, è utile vedere il bicchiere mezzo pieno.

 

Il mio contatto e-mail per i lettori:

ammatuna.d@alice.it

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it