IL GIOCO D’AZZARDO

Organizzata dall’Ufficio Pastorale della Diocesi, si è svolta ieri una tavola rotonda sull’argomento del gioco d’azzardo, problematicamente considerato nella sua accezione patologica.

Gli interventi, documentati ed esaustivi, hanno fornito dati e spunti su cui riflettere. Un elemento, però, mi è sembrato particolarmente significativo: fra i relatori invitati c’eravamo io e Pippo  Mustile , psichiatra responsabile dei SERT aziendali, uno che con le dipendenze – di qualunque tipo e natura – ci lavora da più di 20 anni. Bene, entrambi, con una strana ma eloquente sinergia, abbiamo scelto di non portare il punto di vista psicologico e psichiatrico ma di proporre uno sguardo “traverso” in direzione di tutto ciò che sta intorno al tema.

Ma cosa sta intorno al tema?

Se un miliardario gioca compulsivamente ogni giorno e ogni giorno compulsivamente perde tutto quello che ha, nella certezza che l’indomani – grazie ai meccanismi finanziari di cui gode – ricapitalizza tutto quanto e tutto quanto si renderà  immediatamente disponibile per essere giocato e poi perso entro le 24 ore, e poi ancora e ancora, chiediamoci: è un problema? E’ un problema per la società? E’ un problema per lui? E’ affetto da una patologia o possiamo attribuirgli un costoso ma innocuo hobby?

La storia del gioco d’azzardo, prima che si inventasse la categoria psichiatrica del GAP (Gioco d’Azzardo Patologico), è stata intimamente intrecciata con quella del debito, che è poi il filo sottile ma inesorabile che percorre la storia millenaria dei rapporti di potere.

Si rifletta su questo: non esistono in Italia spazi chiusi in cui consumare la propria dose quotidiana di droga, mentre esistono luoghi legalmente riconosciuti in cui consumare la propria dose quotidiana di gioco (i casinò, le sale gioco, ora anche il proprio salotto, dove è disponibile una connessione ad internet….). La pubblicità del gratta e vinci è palesemente una pubblicità ingannevole, ed è sacralmente distribuita dallo stato, che adotta il gioco come una delle principali fonti di reclutamento di denaro pubblico per pagare i servizi e le emergenze. Lo stato si tura il naso, raccatta dalla vecchina con la pensione a 300 euro e dal ragazzetto sfigato che non studia e non lavora, e poi ringrazia (mandando fra l’altro i suoi tecnici a occuparsi dei casi patologici).

Si tratta di scelte. Determinate da una precisa configurazione dei rapporti di potere. Scelte che sarebbero diverse se la configurazione fosse diversa: per esempio, se la redistribuzione del reddito smettesse di seguire la direzione dal basso verso l’alto e si invertisse, molte vecchine smetterebbero di andare a giocare e molti sfigati troverebbero un minimo di occupazione. A quel punto lo stato dovrebbe provvedere a reclutare tributi da un’altra parte.

Volete provare a immaginare dove?

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