Il futuro di Jallow ancora più splendente: definitiva la sentenza di assoluzione

E’una storia a lieto fine quella di Jallow Cherno Mamodou. Era arrivato a Pozzallo nel 2017 messo in salvo da una nave di Medici senza frontiere, la Vos Prudence il 21 aprile del 2017. Lo avevamo incontrato un anno fa. Lui quel giorno dello sbarco lo ricordava bene, “era un venerdì mattina” aveva detto nel corso di un incontro in occasione della presentazione ‘Dossier immigrazione – Costruire il futuro con i migranti’ redatto dalla Diocesi di Ragusa. Già, perché il futuro lui è stato capace di costruirselo. Solo una preoccupazione, grande: quella condanna per favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina (4 anni 8 mesi e 2,4 milioni di euro di multa) inflittagli dal Tribunale di Ragusa. Quella condanna oggi è stata annullata: la Corte di Appello di Catania lo ha assolto, riconoscendo che lui – è vero – aveva condotto una imbarcazione con 141 persone a bordo, ma lo aveva fatto per “stato di necessità”. La sentenza non è stata appellata ed è diventata quindi definitiva. Ma facciamo un passo indietro. Jallow è stato assistito dall’avvocato Marco Comitini.

La vicenda 

Dalle motivazioni della sentenza di Appello emerge che Jallow che oggi ha 25 anni ed è nato in Gambia, era prigioniero in un campo libico ed era stato venduto ai libici per 600 dinari. Già perché nel nord Africa, i centrafricani sono ancora più discriminati. La notte della partenza in mare furono gli stessi libici armati a condurre l’imbarcazione per un paio d’ore. Poi ancora concitazione. Quel gruppo di trafficanti di esseri umani aveva abbandonato il barchino, buttando nelle mani di Jallow un telefono satellitare, e si era allontanato con un altro mezzo. “Devi condurre la barca, e con questo chiami i soccorsi” gli avevano detto. Gli avevano anche telefonato per minacciarlo di morte se avesse osato tornare indietro. E lui a quel punto ha guidato, doveva salvare se stesso e i suoi compagni di viaggio. Per la Corte d’Appello questo basta; ha ritenuto che lo stato di effettiva schiavitù in cui versava in Libia, le costanti minacce a cui era sottoposto e il fatto di avere condotto la barca per salvare se stesso e gli altri, configurino lo stato di necessità. 

Jallow Cherno Momodou in quell’incontro organizzato dalla Caritas aveva raccontato delle sue sofferenze ma anche dell’accoglienza e della fiducia. Due elementi che lo hanno accompagnato e sorretto sempre, assieme alla volontà di capire e farsi capire. “In Libia – aveva raccontato – per quattro mesi ho dormito ovunque, ho avuto fame non avevo cibo, ho provato ad attraversare il Mediterraneo per sette volte, e solo l’ultima volta ci sono riuscito”. Poi, dopo lo sbarco a Pozzallo, la volontà ferma di studiare, imparare l’italiano. Per un anno è stato ospitato da un centro a Chiaramonte. Ha voluto e preferito studiare. “Era importante studiare e mi sono impegnato, ho preso la licenza media. Poi ho incontrato la Caritas, ho svolto il servizio civile. Tutte esperienze importanti che mi hanno aiutato; stare con gli italiani, parlare la lingua e non solo a scuola, frequentare ragazzi italiani, giocare con loro”. Fa il cameriere, è stato assunto dopo un periodo di prova, e dopo avere seguito un corso. “E’ ciò che volevo fare – aveva detto a marzo del 2023 -. Sono riuscito a comprare una piccola casa, lavoro al Caffé Italia che mi ha assunto dopo uno stage. Solo una cosa mi manca, la famiglia, mamma papà i miei fratelli che non vedo dal 2015”. La famiglia Chessari, che lo ha assunto, è diventata la sua seconda famiglia. E la storia continua

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