I PARTITI POLITICI

Possono piacere o non piacere ma il fatto è che i partiti sono delle «cose» familiari per gli uomini e le donne del XXI secolo. Fin dalla loro comparsa, nell’età delle rivoluzioni liberali e della rivoluzione industriale, hanno suscitato interesse, aspettative e altrettante preoccupazioni. Oggi, per lo più, sono diventati bersaglio di «ragguardevoli litanie» e di cicliche retoriche antipolitiche. Nati per rappresentare le domande dal basso e favorire l’apertura di regimi politici oligarchici appaiono intrappolati in una spirale del discredito. La loro esistenza sembra sospesa tra i palazzi del potere e i salotti televisivi. Eppure, democrazie post-partitiche non sono ancora all’orizzonte e, verosimilmente, non sarebbero nemmeno desiderabili. Per quanto non da soli e sempre più sfidati, da essi dipende ancora il funzionamento o il malfunzionamento della democrazia.
Da qui due grandi piste di ricerca e studio. La prima relativa alle trasformazioni dei partiti in generale, al loro mutamento genetico, alle loro sfide. Ma anche alla versatilità e adattabilità che hanno dimostrato dei due tre secoli di vita che li contraddistinguono. In effetti, non ci pensiamo a sufficienza ma i partiti sono delle invenzioni piuttosto recenti, legate ai processi di modernizzazione sociale ed economica e alla fuoriuscita dalla società tradizionale, di “antico regime”, dove la vita dell’uomo è intrappolata nei vincoli sociali e di casta. L’età moderna designa un salto dal “destino alla scelta” e in questa passaggio che apre tante opportunità e alimenta rischi l’uomo moderno si appoggia su istituzioni nuove, tra queste i partiti attraverso i quali rendere le forme di dominio meno elitarie e più aperte. Nella loro evoluzione i partiti hanno registrato tre mutazioni genetiche, tra grandi trasformazioni qualitative legate ai cambiamenti dello stesso scenario politico: dai partiti dei notabili ai partiti di massa (che ha accompagnato il passaggio dai regimi liberali a quelli democratici); dai partiti di massa ai partiti piglia-tutto o elettorali (che registrano le trasformazioni interne alle democrazie e in particolare lo sviluppo dello Stato sociale); dai patiti elettorali alle nuove forme-partito, quali i partiti cartello, personali, rete, ecc., (che accompagnano la triplice crisi delle nostre democrazie dello stato sociale, territoriale e di rappresentanza). Forse anche per questo, i partiti rimangono delle entità difficili da afferrare.
Da qui l’esigenza di esplorare le svariate dimensioni della party governance, proponendo una chiave di lettura originale, che sia in grado di dar conto del loro funzionamento e cambiamento e, perché no, della loro crisi. La proposta di Raniolo è, a pensarci bene, piuttosto semplice, vale a dire spinge a guardare i partiti in quanto gruppi politici più o meno organizzati. Ciò vuol dire, per un verso, che in quanto gruppi organizzati (o organizzazioni) devono far fronte ad una serie di problemi organizzativi cruciali per la loro sopravvivenza:  Tra questi il libro si sofferma sul problema dell’azione collettiva e della partecipazione interna, del coordinamento e della persistenza dell’organizzazione e, infine, della mobilitazione delle risorse dai finanziamenti alla leadership. Tale griglia permetterà di rileggere i tradizionali tipi storici di partito (d’élite, di massa, elettorale) a seconda di come vengono affrontati questi problemi organizzativi, mettendone in risalto le trasformazioni con le relative nuove criticità. A questi primi tre problemi ne va aggiunto un quarto, che possiamo chiamare strategico e che a a che fare con i rapporti che i partiti intrattengono con la società, l’economia, le istituzioni. In una parola con il loro ambiente.  Ed è a questo livello che risalta la componente più propriamente politica. Infatti, i partiti hanno a che fare con la lotta per il potere, il che in democrazia si risolve nella cattura di quanti più voti possibili (vote seeking), nella distribuzione di cariche e di altre prebende pubbliche (office seeking) e nel cercare di realizzare certi obiettivi programmatici (policy seeking). Nel perseguire tali strategie essi devono far fronte a quei problemi organizzativi prima richiamati.
Il caso italiano in questo quadro si mostra particolarmente rilevante per guardare alla crisi dei partiti e di un intero sistema partitico che da un ventennio è in permanente fluidità e transizione. La Repubblica nacque nel secondi dopoguerra come Repubblica dei partiti, ma si sarebbe ben presto evoluta a partitocrazia una forma particolarmente perniciosa e disfunzionale di governo di partito. La cui crisi ha lasciato un vuoto che fino ad ora non è stato colmato né da partiti vecchi né da partiti nuovi. Anzi, l’Italia degli ultimi due decenni si è caratterizzata per una competizione politica radicalizzata e frammentata che ha spinto anche molte istituzioni di garanzia, come il Presidente della Repubblica o la magistratura (ma per aspetti e dinamiche diverse) a politicizzarsi per cercare di regolarne le dinamiche. Afferma Pasquino nel suo libro, “oggi si vedono più ombre che luci. Individuare quelle ombre e comprenderne le cause può servire a riflettere su come illuminarle e disperderle”. E ancora “per quanto difficile e faticosa, la strada per un’altra, più adeguata e soddisfacente Repubblica è percorribile”. Il libro però usciva nel febbraio del 2013, prima delle elezioni e dello stallo che ne è seguito. Sarebbe interessante chiedere allo studioso, se oggi il suo giudizio è cambiato.

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it