I FATTORI DI CRITICITA’ DELLE IMPRESE PRESENTI NELL’AREA IBLEA

“La crisi ha complicato ancora di più la vita delle imprese in provincia di Ragusa. Perché accanto alle nuove difficoltà coesistono le tradizionali problematiche strutturali che affliggono i sistemi produttivi locali”. E’ un’analisi attenta quella sviluppata dal presidente dell’Ordine dei commercialisti e degli esperti contabili per le circoscrizioni dei Tribunali di Ragusa e Modica, Daniele Manenti, che lancia anche qualche suggerimento su come migliorare la competitività delle piccole e medie imprese dell’area iblea. “Prima di tutto, però, occorre comprendere che la criticità è stata determinata – aggiunge Manenti – anche dalla dimensione delle imprese, con tutte le conseguenze, in termini di maggiore costo del finanziamento bancario, di difficoltà di accesso a forme alternative di finanziamento, di ridotta propensione all’export e di limitata capacità di investimento.  In queste condizioni, le Pmi caratterizzate da notevoli problemi di tenuta dei loro assetti finanziari e patrimoniali, con mercati di riferimento locali, modelli organizzativi e di governance contraddistinti dall’accentramento delle funzioni in capo ad una solo persona, non sono state capaci a supportare uno sviluppo basato su innovazione e competenze. Più in generale, potremmo dire che manca ancora, nel nostro territorio, la capacità di superare i vincoli dimensionali tramite magari la costituzione delle rete di impresa, in grado di costruire quell’armatura territoriale di relazioni virtuose e sinergie che consente ad un sistema produttivo locale di affrontare efficacemente le sfide sempre più competitive imposte dalla globalizzazione”. Ma cosa determina tutto ciò? “Questo si traduce – chiarisce il presidente dell’Ordine – in una incapacità da parte delle nostre imprese ad internazionalizzarsi e ad operare in condizioni di isolamento. I principali fattori strutturali che, a mio giudizio, riducono la competitività delle nostre imprese sono: insufficiente dimensione delle imprese, non corretta dalla capacità di fare rete; riduzione di risorse finanziarie, pubbliche e private, necessarie per gli investimenti; scarsa capacità innovativa, legata ad ambienti poco collaborativi e complessivamente sfavorevoli all’innovazione; una scarsa diffusione della cultura di impresa”. Per Manenti, insomma, questi sono i limiti che hanno frenato la crescita dei nostri imprenditori. “La ridotta propensione a fare rete, dipende, a mio giudizio – continua ancora – da una cultura imprenditoriale poco avvezza a condividere progetti e strategie di sviluppo al di fuori dell’ambito del vertice (spesso padronale e familiare) rendendo le nostre imprese incapaci di competere sui mercati internazionali e che rappresenta uno dei modi possibili per reagire efficacemente alla crisi. Le aziende che vogliono sopravvivere e vincere nell’attuale scenario economico, globalizzato ed in continua evoluzione, devono essere in grado di rispondere con prontezza alle sollecitazioni che provengono dal mercato. Ovviamente internazionalizzarsi, innovare, vuol dire innanzitutto acquisire competenze. Non sempre le Pmi sono in grado da sole di avviare un processo di internazionalizzazione ed operare nei mercati esteri. E’ quindi necessario che i nostri imprenditori assumano piena consapevolezza che per sopravvivere occorre cambiare la propria prospettiva di fare impresa. Ma occorre anche dire che bisogna accrescere anche la competitività del sistema Paese. Bisogna, in altri termini, avviare le riforme per cambiare l’Italia e non lamentarci dei vincoli europei. La competitività del sistema Paese si costruisce con una seria politica riformista”.

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