Giacimenti in mare: finita la moratoria. Nessuno scende in piazza a difesa del clima

Il 30 settembre è scaduto il termine per il piano che doveva fissare le nuove regole per lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio e gas in mare. A livello politico si parla tanto, a destra e a manca, di puntare sulle energie rinnovabili per cercare di frenare il rilascio di anidride carbonica in atmosfera onde evitare la catastrofe climatica, ma il mondo non sembra pronto. Finita la moratoria, nel nostro Paese – che è lo stesso che ha appena finito di ospitare, a Milano, i lavori della Youth 4climate, giovani attivisti per il clima dove tutti si sono detti d’accordo con i rimproveri e le proposte avanzate dai leader con in testa Greta Thunberg – si scaldano i motori per trivellare nuovi o già noti pozzi. Con il suo patrimonio naturale, il mare a largo di Ragusa può essere bucherellato dalle compagnie destinatarie di concessioni statali.

Nel golfo che va da Ragusa a Gela – avverte Repubblica Palermo – sono disponibili due concessioni che sommate sfiorano di seicento chilometri quadrati, in favore di Eni ed Edison. Northern Petroleum è pronta a operare fra Licata e Agrigento, mentre Audax Energy ha intenzione di perforare i fondali tra Pantelleria e Favignana. Altre nove richieste sono state avanzate per permessi di ricerca lungo il Canale di Sicilia.

Qualcuno scende in piazza per protestare? Nessuno! Ai siciliani interessa più l’insopportabile e incredibile dibattito “sì-no vaccini” contro il Covid, anziché il vitale “no ai pozzi da fonti fossili” da cui dipende veramente il futuro del pianeta.

I comuni, sempre più alle prese con enormi problemi di bilancio economico-finanziario, fanno spallucce e pensano, là dove è possibile, di fare cassa. Pazienza, come dice il sindaco di Ragusa Peppe Cassì, se “in passato incassavamo anche 25 milioni di euro all’anno in royalties, ora sono poche centinaia di migliaia di euro”, comunque necessari. Nel 2013 il predecessore cinquestelle Federico Piccitto, appena insediatosi a palazzo dell’Aquila disse sì alle royalties dopo avere incentrato la campagna elettorale sul “no alle trivelle”. Pecunia non olet, specialmente in tempi di magra.

Destra, sinistra, centro, sopra o sotto, le amministrazioni comunali non sanno dire no alle perforazioni di fronte a spiagge sulle quali puntano in contemporanea per il turismo, spesso territori patrimoni dell’Unesco. Le stesse che poi si lamentano non appena il mare diventa oleoso e il rischio di incidenti incombe nonostante severi programmi di prevenzione.

Il comune di Scicli ha ottenuto da Eni ed Edison 11 milioni di euro per l’Imu e la Tasi consumate dalla piattaforma Vega di fronte a Sampieri e ne ha chiesti altri 89 milioni di arretrati. In tutta l’Isola sono attive 23 concessioni per l’estrazione di gas e petrolio, tre grandi impianti raffinano petrolio, un altro tratta oli vegetali usati e di frittura, grassi animali, alghe e rifiuti per produrre biocarburanti, una cui quota parte è imposta dall’Unione europea su ogni litro di carburante alla pompa.

Le eventuali battaglie contro i cambiamenti climatici possono attendere, perché una parte dell’economia siciliana si fonda su questo settore, miraggio di rinascita post bellica. Soltanto di royalties, la Regione incassa circa 30 milioni, stando all’ultimo dato disponibile.
Quello che diranno di noi i nostri nipoti non ha importanza in una terra in cui si è costretti a ingoiare banali assurdità pur di portare a casa un salario e un’entrata in più in bilancio.

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