ESEMPIO DI UNA FEDE OPERANTE NELLA VITA DI OGNI GIORNO

Il saloncino della Casa don Puglisi non è bastato. Seppur di sera tardi, seppur si trattava di una semplice adorazione eucaristica, in tanti sono voluti essere presenti per onorare don Puglisi venerdì 24 maggio partecipando alla veglia eucaristica nella Casa di Modica intitolata nel 1997 al nuovo beato “martire in odium fidei”. E non solo da Modica, ma anche da Scicli, Avola, Pachino. C’erano giovani delle scuole, volontari, insegnanti, mamme e papà di famiglia. E c’era grande commozione e grande semplicità, grande gioia per questa vita donata e ora riconosciuta dalla Chiesa come vita esemplare. Uno dei miracoli di don Pino è il suo risvegliare qualcosa dentro, qualcosa da vivere nell’umiltà, nella povertà, nella concretezza dell’amore. Contrastando, prima che la mafia, la tiepidezza, una fede senza coerenza, un perdersi in cose marginali. Ha introdotto l’incontro un breve video con testimonianze di persone a lui vicine, come suor Carolina Iavazzo venuta per due volte a Modica, ma anche voci di bambini da lui voluti bene e che con sicurezza, intervistati, dicevano: “ritornerà!” Ed è vero: don Puglisi con la beatificazione ritorna tra di noi come esempio di una fede operante nella vita di ogni giorno. Una fede vera che ripete il senso della vita secondo Gesù: “Non c’è amore più grande di chi dà la vita per i fratelli”. Una fede che ha al centro la vita donata di Gesù, che iniziando l’adorazione eucaristica è stata messa al centro dell’attenzione per ritrovare quella che per don Puglisi, e per tutti i cristiani, è la fonte ma anche la forma della vita. Don Corrado Lorefice, che ha conosciuto don Pino come direttore del Centro regionale per le vocazioni (poco prima quindi che diventasse parroco di Brancaccio), ha sottolineato che solo così si capisce don Puglisi. Che era anzitutto un cristiano e un prete. Ordinariamente mite, ma forte nei toni e radicale nell’opposizione ad ogni prepotenza, e per questo contro la mafia e contro l’utilizzo della religione da parte dei mafiosi. Mite e forte come l’altro martire del nostro tempo, di cui si attende la beatificazione, Mons. Oscar Arnulfo Romero, ucciso mentre celebrava la messa a motivo del suo essere un vescovo fatto popolo, un vescovo chiaramente dalla parte delle vittime e degli oppressi. Nelle preghiere spontanee è risuonata la vita: si è pregato per la legalità, per i luoghi educativi, per le parrocchie, per le famiglie, per i sofferenti e i poveri. Attraversata questa vita dalla luce dell’esempio di don Puglisi, chiedendo a Dio di saper, come lui, “lottare con coraggio a causa della giustizia e di riconoscere e testimoniare sempre il primato della Parola di Dio”. Perché, come diceva in un ritiro spirituale ai giovani lo stesso don Puglisi, “nella Parola di Dio noi troviamo una luce per capire chi siamo, da dove veniamo, che cosa dobbiamo fare, che cosa è bene che noi andiamo via via compiendo nella nostra vita”. Queste parole sono risuonate in una Casa che, non solo è stata consapevolmente intitolata a don Puglisi in tempi in cui se ne parlava pochissimo, ma che ogni sera ai vespri legge il Vangelo e così poter trovare luce per accogliere situazioni difficili e volere bene le persone accolte come si fa con dei familiari. E, da una Casa che si trova a testimoniare così don Puglisi, è stata alla fine impartita la benedizione eucaristica idealmente guardando alla città, mentre a lato dell’altare quella benedizione prendeva la forma del sorriso di don Puglisi, delle sue grandi mani, delle sue grandi orecchie, del suo chinarsi sui bambini, quasi a dire alla città che essa sarà beata solo se saranno in molti ad operare con i fatti e ad ascoltare il fratello, ad iniziare dai piccoli e dai poveri.

Per la Casa don Puglisi

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